Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Sotto una pioggia incessante, metafora della nostra irrimediabile subalternità rispetto all'universo, l'umanità esprime il suo sbigottimento non riguardo al manifestarsi del Male, bensì riguardo alla sua incomprensibilità, che lo rende un fenomeno sconvolgente, non solo per il cuore, ma anche per la ragione: un evento traumatico e sfuggente, come un'incursione diabolica nella realtà. Ciò che lascia sconcertato il singolo, nel quadro della collettività risulta ancora più confuso dalla molteplicità delle interpretazioni. La determinazione delle cause e l'attribuzione delle colpe di fronte ad un evento tragico è il punto di partenza di ogni indagine (scientifica, legale, filosofica) intorno alla verità: ed è anche la fonte di tutte le discordie intellettuali e le divisioni storiche. Neanche la voce della coscienza aiuta a metter pace, perché essa è pur sempre espressione di una visione individuale. Così una confessione può essere sincera, però falsa, o comunque controvertibile. L'obiettività è impossibile: nessuna constatazione è lo specchio della realtà, perché è pur sempre il risultato di una deduzione, dell'elaborazione, più o meno consapevole, di un'idea personale, a cui il "dato di fatto" (ammesso che esista, là fuori, qualcosa che sia degno di questo nome) fornisce solo l'iniziale spunto. Cosa sia quella nostra innata "debolezza" che induce ognuno di noi a "mentire" non c'è dato di sapere: forse è solo lo sguardo reso torbido dall'infuriare delle passioni, che crescono contorte e selvagge come la vegetazione del bosco che è teatro della storia raccontata da Kurosawa. Il triangolo d'amore ed odio, onore e disonore, vita e morte, che ha luogo in mezzo a una radura è una scena illuminata da tante angolazioni, che getta intorno a sé una moltitudine di ombre diverse per forma e direzione. In gioco sono i sentimenti (la donna), i desideri (il brigante) e la morale (il samurai), la cui infernale commistione ha il diabolico potere di intaccare ogni credenza e mettere in discussione ogni principio. Sono queste le forze contrastanti che convergono sull'io, offuscando le percezioni che noi abbiamo di noi stessi e, di riflesso, dei nostri simili. Innocente è (come suggerisce il finale del film) solo la vita che appena avuto inizio e che, quindi, non ha ricordi su cui innestare le proprie bugie, né aspettative su cui costruire le proprie illusioni. "Rashômon" utilizza la guerresca sacralità della tradizione dei samurai per descrivere la nostra esistenza come un'epica lotta contro i fantasmi dei nostri limiti; una lotta che prevede anche la possibilità della resa e della fuga, perché, in questa battaglia, siamo sconfitti dal coraggio, a cui preferiamo rinunciare, e dalla sincerità, davanti a cui, per istinto, troppo spesso amiamo nasconderci.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta