Regia di Orson Welles vedi scheda film
UN TENTATIVO FALLITO DI ANNULLARE IL TEMPO.
Nel suo castello in Spagna il potente Arkadin, durante una festa mascherata si presenta ai suoi invitati raccontando l’apologo della rana e dello scorpione:
“Uno scorpione chiede alla rana di aiutarlo ad attraversare un guado, ma la rana è riluttante, temendo che questi la punga con la sua coda velenosa. Lo scorpione la convince, facendole capire che nell’acqua la sua vita è legata alla sopravvivenza della rana stessa. Nel bel mezzo del guado però punge la rana ed entrambi muoiono. Alla rana che gli chiede la ragione del suo gesto, lo scorpione risponde beh, ciò fa parte della mia natura.”.
L’aneddoto è uno dei molteplici segni seminati lungo la storia di Rapporto confidenziale che Orson Welles girò in otto mesi nel 1954. L’aneddoto è, però solo una traccia, diciamo naturalistica, che da sola ci porterebbe a una soluzione banale di un film irto di sensi: Arkadin è il Potere, come già Kane, che si autodistrugge in un forsennato delirio di grandezza.
Questo livello letterale è ben messo in luce da Guido Fink (in “Cinema e Cinema” n. 3, 1973) il quale ipotizza altre letture di tipo politico e brechtiane (il problema dei capi nei rapporti con i sudditi) o metalinguistici (Arkadin è il cinema, il regista nel complesso rapporto con l’opera).
Più interessante ci sembra (nello stesso numero della rivista, dedicata per buona metà a Orson Welles) la posizione di Franco La Polla che vede nel film il “tentativo di verificare la possibilità di sospendere il tempo (...) di tagliare fuori del flusso del tempo una certa parte della vita di un uomo.”
Arkadin ha un passato di cui vergognarsi, soprattutto nei confronti della figlia Reina, oggetto del suo affetto, la quale ignora che il padre, nel lontano 1927 si trovò solo a Zurigo con in tasca duecentomila franchi svizzeri con i quali iniziò la sua fortuna. Quando l’avventuriero americano, Guy Van Stretten fa la conoscenza di Arkadin e gli riferisce di essere in possesso di un “Rapporto confidenziale”, Arkadin, preoccupato di nascondere tutto alla figlia (attratta da Van Stretten), ordisce la trama che, secondo il suo folle disegno, dovrebbe censurare con efferata decisione la sua memoria perché il rimosso non torni a galla.
Van Stretten (l’analista), portando alla luce i fantasmi che sembravano dimenticati (la finta amnesia), scopre che lo stesso Arkadin (il paziente) si serve di lui per neutralizzare le tracce del suo passato.
Nel tentativo estremo di annullare il tempo, Arkadin perde se stesso trascinando così nella vergogna Van Stretten (l’alter ego, l’odioso “doppio”) che ha attentato all’innocenza della figlia Raina.
“Come già accadeva negli Amberson, il triangolo (Arkadin, Raina, Van Stretten) si carica di un’opposizione incestuosa - Arkadin è geloso della figlia. Ma la geometrica rete di referenzialità degli Amberson si raddoppia in Arkadin in molteplici rifrazioni, in un gioco speculare e tautologico, dove Arkadin per cancellare il proprio mediocre passato si serve di un mediocre individuo del tutto simile all’immagine del suo passato e dove la rivalità tra Arkadin e Van Stretten è determinata dal rispecchiamento di due coppie impossibili e mostruose: Raina-Van Stretten come Raina-Arkadin del passato.” (Marco Salotti).
Ecco allora che l’indizio dell’aneddoto rana-scorpione si carica di un sovrappiù di senso che un’analisi naturalistica lasciava nascosto.
PAROLA DI ORSON WELLES
Orson Welles il 27 giugno 1958, in una camera del Ritz di Place Vendôme, ad Andrè Bazin, Charles Bitsch e Jean Domarchi (pubblicate sul numero 87 dei Cahiers du cinéma).
«Arkadin è un personaggio, non un eroe. Arkadin è l’espressione di un certo mondo europeo. Avrebbe potuto essere greco, russo, o georgiano. È esattamente come se, venuto da una regione selvaggia, si insediasse in una zona europea, di antica civiltà, usando, per sfruttarla, quella specie di energia e di intelligenza propria del barbaro. È il Germanico, il Goto, il selvaggio che riesce a conquistare Roma. Ecco che cos’è: il barbaro alla conquista della civiltà europea o, come Gengis Khan, all’assalto di quella cinese. E questo genere di personaggio è ammirevole: soltanto la morale di Arkadin è detestabile, ma non il suo spirito, perché è coraggioso e appassionato, e io trovo che sia davvero impossibile detestare un uomo appassionato.
Arkadin è un uomo che, in buona parte, si è fatto in un mondo corrotto; non ha mai cercato di essere meglio di questo mondo, ma, pur essendo suo prigioniero, è ciò che di meglio poteva diventare. È la migliore «espressione» possibile di questo universo.
Lo scopo di questa storia (quella della rana e dello scorpione) è dire che l’uomo che dichiara di fronte a tutti: «Sono quello che sono, prendere o lasciare», quest’uomo ha una dignità tragica. È questione di dignità, di dimensione, di fascino, di levatura, cose che tuttavia non lo giustificano. In altri termini, quella storia deve essere intesa per la sua utilità a scopo drammatico, e non come giustificazione di Arkadin o dell’assassinio. E non è per puritanesimo che io sono contrario al delitto. Sono contro la polizia, non dimenticatelo. A modo mio, sono molto vicino a una posizione anarchica o aristocratica. Qualunque sia il giudizio che date sulla mia morale, dovreste cercare di scoprirne l’aspetto fondamentalmente anarchico o aristocratico."
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