Regia di Ishana Shyamalan vedi scheda film
Esordio alla regia (e alla sceneggiatura) di Ishana Night Shyamalan, figlia del regista M. Night Shyamalan, già dietro le quinte nelle ultime stagioni di Servant, la prima serie TV di papà Shyamalan, e tratto dal romanzo omonimo dello scrittore irlandese A.M. Shine, con The Watchers – Loro ti guardano realizza un film d'esordio decisamente godibile, che intrattiene ma che non lascia il segno, penalizzato probabilmente anche da un ovvio confronto con la filmografia del padre.
Non aiuta anche il fatto che The Watchers sia un film prodotto dal padre, quindi una specie di esperimento controllato onde minimizzare ogni minimo rischio e dove poter intervenire ad ogni minimo problema, e quindi doppiamente “figlia”, il film, di quel ben determinato background artistico, come risulta anche evidente in più occasioni.
“Essere è essere percepiti” George Berkeley
The Watchers più che un horror è un survival movie dai riverberi folkloristici e mitologici, anche estremamente derivativo e questo non deve essere necessariamente un male ma significa comunque che nel cercare una propria strada ne percorre di già tracciate da altri. Non necessariamente quelle di suo padre, sia chiaro, ma il rischio (quanto concreto è difficile dirlo a priori) che possa seguire (troppo?) pedissequamente le orme del genitore rischiando di perdere quindi la propria autoreferenzialità è un qualcosa da prendere comunque in considerazione.
La trama di The Watchers, per quanto autoctona, rimanda comunque ai Shyamaliani The Village e Wayward Pines, di cui M. Night Shyamalan ha diretto i primi due episodi pur non essendo una sua creazione, ma parte dal “vecchio” Ai confini della realtà per arrivare al più moderno From, serial televisivo con cui la pellicola ha davvero molto (troppo?) in comune.
L’indole derivativa è piuttosto evidente (ma quanto sia di Ishana o del libro è difficile da dire, anche se sembra che si siano prese diverse libertà creative) e risulta declinata da diversi elementi perché, come il padre, anche la figlia arriva a manovrare un archetipo primario dell’horror (le creature/mostri che ti osservano di notte) per riscriverlo e ridefinirlo secondo idee più personali, tra citazioni e omaggi più o meno voluti e/o consapevoli, compreso anche il tanto decantato e Shyamaliano “plot twist” (in realtà un po’ troppo telefonato) che cerca di riscrivere il terzo atto secondo un’ottica diversa.
In fondo l’horror si nutre da sempre delle stesse forme e paure che tornano di continuo, come la foresta maledetta, tra allucinazioni del proprio passato e reminiscenze di antiche epoche pagane ma anche centro focale stesso della pellicola, o i suoi cunicoli bui e gli anfratti dove si nascondono le creature e anche lo stesso bunker, al contempo palcoscenico, cornice, pretesto e contesto del film, non è altro che l’equivalente della casa nella foresta, tipica location del genere horror.
“Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere” Jean Cocteau
Il punto di vista però è molto più femminile sia nella caratterizzazione dei personaggi che nella costruzione delle loro dinamiche, aspetto questo fondamentale in un film con il tema del doppio e sulla fascinazione dell’osservazione.
Un confronto aperto che mette in contatto due aspetti dell’Uomo “social”, la sua eccessiva vanità narcisistica di vedere ovunque la propria immagine, arrivati ormai a dei livelli estremi, e la sua incontentabile sete di voyeurismo, di osservare gli altri anche (soprattutto) di nascosto.
È anche una metafora evidente proprio del cinema, la “settima arte” principe del voyeurismo, o di uno spettacolo teatrale che si esibisce per un pubblico “notturno” affamato di novità e di intrattenimento.
Un pubblico molto esigente e con regole ben definite e pressanti, obbligando il “cast”, come se fossero diretti uno scorbutico regista, ad adempiere alle loro silenti richieste.
In modo non poi così differente proprio di un casting per un film, ma al contrario.
Ma gli spettatori, in questo caso, non sono semplicemente “misteriose” creature/mostri quanto, piuttosto, una metafora (evidente quanto, anche, piuttosto ingenerosa?) dello stesso pubblico in sala in quanto, come le creature, anche noi osserviamo e giudichiamo i personaggi in scena.
E come recita la commedia dell’arte ognuno di noi nella vita recita una parte, scegliendo (quando non ci viene imposto) e indossando una "maschera" che rappresenta ciò che vorremmo o dovremmo essere. O che altri vorrebbero che fossimo.
E come facciamo queste scelte? Osservando gli altri e scegliendo a quale “maschera” vogliamo aderire o dietro al quale desideriamo nasconderci, quale più ci compiace o quale più può tornarci utile, quale può facilitare e favorire il nostro successo o la nostra felicità o quale più è adatto alla soddisfazione dei nostri bisogni.
P.s. Piccola curiosità: l'ultimo episodio del nuovo Doctor Who, edito da Disney + proprio in questo fine settimana, tratta esattamente gli stessi argomenti con antagonisti molto simili, benchè alieni, alle creature di questa pellicola.
“Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e la donne sono soltanto attori” William Shakespeare
Intenzioni anche piuttosto (troppo?) ambiziose ma che non riscattano la poca tensione o un finale fin troppo conciliante (e antiepico) ma si sarebbe davvero troppo ingenerosi con la giovane regista perché, seppur derivativo e seppur influenzato certamente dai lavori del padre (ma da qualche parte bisogna pur iniziare, no?), il film ha comunque una propria identità, rivela buona capacità nella costruzione della suspence e seppur non proponga niente di veramente nuovo riesce a intrattenere e a interessare.
Il cast comprende Dakota Fanning, decisamente migliorata nelle sue ultime pellicole e vista recentemente anche in Ripley (ormai Atrani è diventata la sua seconda casa), Olwen Fouere, Georgina Campbell, Oliver Finnegan, John Lynch e Alistair Brammer.
VOTO: 6
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