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Queer

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su Queer

di Antisistema
8 stelle

Elogio dello spirito oltre - ma non sostitutivo - la materialità corporea, che si nutre di stimoli fisici originati dal desiderio. Luca Guadagnino attraverso “Queer” (2025), si lancia nell’impresa impossibile, di tradurre in immagini, la complessa prosa di William S. Burroughs. Un’opera profondamente lacerata, tanto quanto la fonte originaria. L’americano William Lee (Daniel Craig), si muove in lungo e in largo nella Città del Messico degli anni 50’. Omosessuale, alcolizzato e tossicodipendente, sono i pilastri della sua esistenza. L’uomo vaga alla deriva in un eterno inverso senza fine, impossibilitato a tornare nel suo paese d’origine. Il corpo ha bisogno di sesso per appagare la frustrazione psichica, di chi si è ridotta ad un’esistenza errabonda da un locale all’altro, sperando in una ricerca fruttuosa nelle notti accaldate. La fisicità di William Lee mostra i segni del tempo. Eppure l’appetito sessuale non cala, semmai aumenta e viene costantemente esibito per il tramite della pistola portata a vista, maneggiata come se fosse il proprio membro sempre eccitato.
Non è il ritratto di un omosessuale “piacevole”. Il suo approccio è pedatorio, il suo abuso di droghe ha raggiunto livelli oltre la guardia e l’alcool scorre a fiumi nel suo stomaco dalla mattina alla sera. Guadagnino espunge qua e là, i lati più sgradevoli del mercimonio relazionale, posto alle fondamenta di tali ambienti, in quanto poco rispettoso pe la sensibilità odierna. Eppure l’aura di disperazione non abbandona mai un protagonista, totalmente dipendente dagli stimoli di cui finisce con l’esserne schiavo.
E’ un rapporto tossico da concubinato quello intercorso tra William Lee e Eugene Allerton (Drew Starkey), enigmatico ex-marine, dall’orientamento sessuale ambiguo senza definizione.
Il vecchio si approfitta del giovane, il quale finisce per soggiogarlo, traendo vantaggio dalla dipendenza affettiva nei suoi confronti. Sfuggente ma seducente, il regista anche qui elide il carattere mercantilistico della relazione tra i due presente nel libro, giocando su desideri sopiti, capaci di prendere forma “astrale” tramite dissolvenze incrociate di montaggio. La tensione emotiva verso un legame che si vorrebbe tutto per sé, squarcia e corrode l’animo, di un William Lee, divenuto al tempo stesso alter ego dello scrittore Burroughs.

 

Daniel Craig, Drew Starkey

Queer (2024): Daniel Craig, Drew Starkey


Un eterno ritorno alla dipendenza, in quanto le aspirazioni emotive sono destinate a non trovare mai stabili certezze. L'eroina diventa la via di fuga da quell’immateriale inappagato, diventando nel longtake di inusitata durata, una sequenza di trascendenza capace di denudare il dolore, come vestito-fisico aderente ad esso da parte di Daniel Craig. La tensione raggiunge connotati sempre più estremi, non solo nelle proprie pulsioni, ma anche nei confini spaziali-geografici, venendo sbattuti nelle impenetrabili foreste del Sud-America alla ricerca di quello Yagè, a cui si attribuiscono capacità telepatiche. Il romanticismo impossibile spinto oltre il corpo, la cui presenza più “carnale” viene lasciata al di fuori dell’inquadratura, a favore di un onanismo trasmesso mediante l’ausilio del sonoro.
Il “cuore” pulsante, viene espulso al di fuori dell’involucro della carne, permettendo quella compenetrazione sensoriale, capace di attraversare l’intimità come le note della partitura sonora del duo Reznor/Ross, dalle venature malinconicamente sofferenti, capaci di elevarsi a vette romantico-esistenzialistiche.
Guadagnino al pari di Craig, si libera dall’involucro precedente, cercando di plasmare il proprio sé in nuove forme, oltre le costrizioni sociali che lo imbrigliavano in parte in “Chiamami con il Tuo Nome” (2017), quanto già sentite come soffocanti ed asfissianti nel film di ribellione contro il mondo “Fino all’Osso” (2022).  
Il regista affronta Burroughs con coraggio, decidendo di andare aldilà della conclusione del libro, in un gioco di metafore e simboli, capaci di accumularsi uno sopra l’altro, giungendo al vero “cuore”. Si scava a fondo nel lato biografico di Burroughs, non presente nella narrazione di Queer, ma fonte indispensabile dell’opera stessa. L’abisso provocato dalla molteplici dipendenze, disincarna l’essere umano da ciò che è tutti i giorni. La sola corporeità diventa il rifugio di chi non osa andare oltre le porte della quotidianità. Lo spirito immateriale porta ad una sofferenza senza fine, ma anche ad un appagamento altrimenti irraggiungibile con le proprie ossessioni.  

 

Daniel Craig

Queer (2024): Daniel Craig

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