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Ragione di stato

Regia di André Cayatte vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ragione di stato

di hupp2000
7 stelle

Tipico film di denuncia politica anni '70, con Jean Yanne in splendida forma e una Monica Vitti volenterosa ma sottotono.

Jean-Philippe Leroi, direttore di un ipotetica agenzia governativa preposta alla vendita di armi a paesi terzi, mette a segno un succoso contratto, rifilando materiale bellico a due stati africani in guerra tra loro. Il professor Marrot, biologo e militante pacifista, scopre la tresca e viene assassinato. Angela Ravelli, sua collega e amica italiana in possesso della documentazione probante tenta di far esplodere lo scandalo, ma viene a sua volta eliminata dai cosiddetti poteri forti.

 

André Cayatte, regista di formazione giuridica e storico militante contro la pena di morte, ha realizzato molti film cosiddetti “politici” o “di denuncia”, con esiti alterni. Questo non è uno dei migliori, ma liquidarlo con un lapidario “Regia sciatta, nulla di interessante”, come leggo nella scheda del nostro sito, mi sembra troppo sbrigativo. D’accordo, la regia è di ordinaria amministrazione e il taglio manicheo della sceneggiatura è eccessivo. Da una parte ci sono  cattivi politici e mercanti d’armi senza scrupoli, dall’altra movimenti pacifisti animati da nobili sentimenti ed eroi senza macchia, destinati ad essere stritolati dalla “ragion di Stato” del titolo. C’è però dell’altro. Siamo in presenza di quel cinema “impegnato” tipico degli anni ’70 (il cui migliore esponente fu senza dubbio Costa-Gavras) che ebbe il merito di denunciare, attraverso la finzione cinematografica, pratiche e misfatti del potere istituzionale. Volendo, la vicenda raccontata potrebbe svolgersi in qualsiasi epoca del secolo scorso e purtroppo anche di quello in corso. Più che di “ragion di Stato”, si dovrebbe parlare di “cinismo di Stato” ed è la carta vincente del film. Nel ruolo di Jean-Philippe Leroi, commerciante di morte superprotetto, Jean Yanne si conferma attore cinico numero uno della sua generazione. Riporta alla memoria le sue superlative prestazioni in film come “Que la  bête meure” di Claude Chabrol (1969) e “Armaguedon” di Alain Jessua (1976). La sceneggiatura gli assegna alcune tirate e un paio di monologhi sferzanti che tolgono il fiato. Cattiveria cinica, realismo disarmante, strafottenza lo trasformano in un personaggio che fa venire la pelle d’oca. Al suo fianco, grandi nomi come Michel Bouquet e François Périer (a dire il vero sottoutilizzati) e una Monica Vitti leggermente spaesata ma accattivante per il suo accento italiano in un perfetto francese.

 

Un film imperfetto, ma di sicuro interesse.

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