Regia di Léontine Sagan vedi scheda film
«“Guarita”? Ma da cosa?»
Uniformi a righe, pavimenti a scacchi, calze a rete.
Il moto rettilineo uniformemente accelerato dalla forza di gravità planetaria, e dalla Storia: il percorso che portò dalla Repubblica di Weimar (parziale “oasi” di libertà artistica e sessuale mentre la politica del pòppolo “tutt’intorno” collassava implodendo su sé stessa fino a raggiungere la massa critica ed esplodere nel Terzo Reich) alla Messa in Riga (GleichSchaltung).
Esercizio. Calcola l’altezza da cui è caduto il grave (corpo) conoscendo la costante di accelerazione e il tempo impiegato: ‘na ventina di metri e poco meno, ovvero: h = ½ * g * t², là dove “g” è l’accelerazione naturale di gravità che sulla Terra è di 9,8 m/s² e “t” sono gli spannometrici (ed aggiustati) 2 secondi contati (male) dalle ragazze tra il momento del rilascio in caduta libera del petardo e quello del suo scoppio una volta impattato col suolo a fine corsa.
Ma questo è Cinema, e il corpo scompare. (Poi Goebbels, una dozzina d’anni dopo, per rendere defunti sé stesso e famiglia sprecò cianuro e proiettili inaugurando il maggio del 1945: una corda, ad esempio, poteva essere riciclata e riutilizzata migliaia di volte.)
Il film termina così, con un’impasse, senza sfracellamenti (e “Peccato!”, gridano i più...). Ci penseranno le due elezioni parlamentari del 1932 e le due del 1933 a smuovere un po’ le cose, con l’ultima a fissarle per “sempre” (sempre quella stessa dozzina d’anni, finiti - Sturm und Drang - in macerie).
E da questa prospettiva potrebbe essere inteso come un bacio della buonanotte (quello che la signorina von Bernburg invece che sulla fronte dà sulla bocca a Manuela), “premonitore” e d’addio, alla Germania (trucidante e smembrata) che verrà.
“Mädchen in Uniform” (1931), opera d’esordio dietro alla MdP (davanti ad essa aveva recitato in 3 titoli alpini del “cinema di montagna” di Arnold Frank con Leni Riefenstahl) dell’austro-ungarica attrice e direttrice teatrale tedesca di origini ebree Leontine Sagan (1889-1974), qui supervisionata produttivamente dal pioniere del cinema muto Carl Froelich (1975-1953) – cui seguiranno altri due lungometraggi co-firmati da esule (abbandonò la Germania immediatamente dopo il difficile percorso che ebbe il qui trattato suo debutto da regista) acclimatata nel Regno Unito (“Men of Tomorrow” del 1932 con Zoltan Korda e “Gaiety George” con George King), stato insulare di quattro nazioni in una delle quali, l’Inghilterra, proseguì e consolidò la sua carriera producendo spettacoli sugli assiti dei palcoscenici di Manchester e del West End londinese, per poi alla fine trasferirsi definitivamente in Sud Africa, dove aveva vissuto da bambina, concludendo là la sua attività artistica co-fondando il Teatro Nazionale di Joannesburg –, scritto con F. D. Andam (1901-1969, nato Friedrich Dammann) da Christa Winsloe (1888-1944), autrice della pièce alla base della sceneggiatura, “Gestern und Heute” (“Ieri e Oggi”), allestita a Berlino con Gina Falckenberg nel ruolo della protagonista Manuela e, in una prima versione, “Ritter Nérestan” (“il Cavaliere Nérestan”), a Lipsia con la stessa Hertha Thiele, che poi la incarnerà anche su pellicola con pista sonora (nata solo tre anni prima, e qui utilizzata benissimo), è, “paradossalmente”, un lavoro pienamente figlio del proprio tempo, che contempla, trascrive e deflagra lo zeitgeist: basti ricordare “Cabaret” di Bob Fosse (da Christopher Isherwood).
Più o meno bipartito in un senso, quello spaziale [c’è un esterno, che rimane costantemente e permanentemente fuori campo, in un’extradiegesi ipermalinconica (compaiono solo alcuni fotogrammi statuo-colonnari appena “fuori le mura” volutamente non del tutto contestualizzati nel paesaggio, nel brevissimo “prologo” senza logos, che contiene anche un fulmineo/fulminante campo-controcampo ultra metaforico tra i soldati e le educande), e un interno, abitato dalle studentesse, dalle docenti (insegnanti/istitutrici e preside/direttrice), dall’apparato domestico (i reparti cucina, sartoria, lavanderia e infermeria) e dai visitatori (i parenti in visita delle collegiali appartenenti alla più o meno medio-altolocata borghesia e le mecenati altezze reali in ispezione di cortesia), e sviluppato architettonicamente (e narrativamente) su più piani, scale, aule, stanze, dormitori, ballatoi], e tripartito in un altro, quello temporale (l’arrivo di Manuela al collegio; la rappresentazione teatrale del “Don Karlos, Infant von Spanien” - a proposito d’acerbi Tempesta e Impeto - di Friedrich Schiller; la segregazione di Manuela), “Mädchen in Uniform”, da un certo qual PdV “anticipa” di due anni l’anarchismo rivoluzionario dello “Zéro de Conduite” di Jean Vigo, ed è una delle prime volte in cui si verga coi sali d’argento una libertaria istanza LGBTQ+, nel caso specifico d’omo(poli)sessualità lesbica (recentemente, per entrambi gli aspetti, si potrebbe citare, tra i tanti “successori”, il bel “the Falling” di Carol Morley).
Fotografia (un bianco e nero contrastato m’al contempo naturalistico) di Reimar Kuntze (1900-1949) e Franz Weihmayr (1903-1969) nel non del tutto inusuale per l’epoca formato 1.20:1 (6:5), un aspect ratio utilizzato ad esempio dal MovieTone (registrazione ottica di un audio) brevettato da Theodore Case e poi acquistato da William Fox, montaggio del comunista Oswald Hafenrichter (1899-1973), qui alle prime esperienze (finirà poi anche lui alla London Film di Korda, e si occuperà tra gli altri del taglia e cuci di “the Third Man” di Reed/Greene/Welles/Selznick), ma già iperconsapevole, e musiche di Hanson Milde-Meissner (1899-1983).
Ottimo cast che comprende, oltre alla ventitreenne Hertha Thiele (1908-1984), che, come detto, interpreta la quattordicenne Manuela von Meinhardis, e la sua coetanea Dorothe Wieck (1908-1986), che impersona l’educatrice von Bernburg, vi sono Emilia Unda (1879-1939), la prussiana comandante in capo del conservatorio di giovinette, Hedy Krilla (1899-1984), la baciapile, ed Ellen Schwanneke (1906-1972), Ilse, una delle compagne di Manuela, che getta il crocifisso a terra e se ne va (mentre un’altra inspirando farà saltare i bottoni della divisa e un’altr’ancora s’alzerà sulle punte dei piedi per suonare la campanella d’allarme).
“Le piccole tedesche di Mädchen in Uniform non hanno ancora su loro stesse e nelle loro espressioni che un accenno di femminilità. Sono veramente delle bambine, delle bambine sincere […] Da parte mia, ritengo la realizzazione di Mädchen in Uniform un perfetto capolavoro di tatto e di misura.” – Colette, da “Colette Nous Parle de Jeunes Filles en Uniforme” (“Pour Vous”, 5 maggio 1932), traduzione italaiana tratta da “la Vagabonda dello Schermo - Colette e il Cinema” di Paola Palma (Esedra, Padova, 2015).
Nota. Dopo aver assistito al film ho praticato lo sport da poltrona del cercare le date di morte del cast artistico e tecnico principale ed ogni volta, e sono la maggioranza, che queste non cadevano nel periodo compreso tra il 1939 e il 1945 ho tirato (per carità, qualcuno sarà pure stato un nazista fatto e finito, eh) un respiro di sollievo. Vi sono però una marea di eccezioni – a parte Emilia Unda, deceduta a 60 anni nel 1939 a Berlino, ma per cause naturali, dato che nel 1935 ebbe due ictus (fonte: “Hugo Häring - the Organic Versus the Geometric” di Peter Blundell Jones, una biografia sul marito architetto) – riguardanti membri del cast e delle troupe artistiche e tecniche secondari, a partire dall’assistente alla regìa Walter Supper (1887-1943), suicida con la moglie ebrea dalla quale non aveva divorziato (stavano per essere arrestati entrambi), ma soprattutto è la storia di Christa Winsloe, uccisa per errore, superficialità e grettezza con la compagna Simone Gentet da dei partigiani francesi nell’estate del 1944 in Borgogna mentre le due, abbandonata la Costa Azzurra per un ordine di evacuazione immediata, stavano cercando di raggiungere la sorella della drammaturga in Ungheria, a colpire.
* * * * ¼/½ - 8.75
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