Regia di Jaume Balagueró vedi scheda film
Nameless è un dimenticatissimo e dimenticabilissimo titolo di film horror di fine anni Novanta (1999, per l’esattezza) che è sfuggito com’è giusto che sia alla memoria cinematografica degli ultimi anni (nonostante lo si possa dire recente) a causa della natura intrinsecamente insulsa dei suoi contenuti e di una messa in scena scialba e terribilmente piatta. La storia, che si arrampica sugli specchi pensando di generare tensione con sequenze lente e silenziose che fanno da pretestuoso riempitivo, pare scritta da un ragazzino entusiasta ma ingenuo, tanto che Nameless potrebbe essere detto tra i più brutti horror iberici dell’ultimo ventennio (si salvano giusto The Others e [REC]), se solo il genere non vantasse l’orrido Second Name del 2002, ad opera dell’amico di Balaguerò, Paco Plaza. Tra vette di noia e sparuti, rarissimi, momenti di tensione (a ben vedere ce n’è solo uno, discreto, che coincide con l’apparizione di Carlos Lasarte nel ruolo del terribile Santini), Nameless dipana la propria “matassa” narrativa (semmai arrivi ad interessare davvero lo spettatore) raccontando il misterioso “ritorno in vita” della figlia di Claudia (una spaventata ed annoiata Emma Vilarasau) dopo cinque anni dalla presunta morte della prima. Con l’aiuto di un poliziotto e di un inutilissimo personaggio qual è quello del giornalista-fotografo, Claudia arriva a scoprire la (solita) terribile verità, vicina alla realtà di una (solita) terribile setta che pratica delle (solitissime) terribili pratiche esoteriche riguardanti la ricerca del Male puro e supremo. Inutile poi privare lo spettatore dell’unico twist che il film tira fuori da tutto l’insieme; anche perché quella che vorrebbe essere tensione si tramuta, specie nella seconda parte, in una sequela allucinante di spiegoni arzigogolati e ridicoli, tanto che proprio il finale raggiunge una vetta insperata di nonsense che fa davvero accapponare la pelle (soprattutto perché è uno di quei finali che ci si immagina, ma che non si pensa possa essere passato per la testa al regista di metterlo in scena, almeno se avesse voluto farsi prendere sul serio). Dunque alla fine la sensazione che lascia il film non riesce ad essere nemmeno quella dell’amaro in bocca, è solo un po’ il raccapriccio di aver sprecato un’ora e quaranta del proprio tempo di fronte a una baracconata senz’anima.
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