Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Los Angeles, 16 luglio 1938, le prime ore della notte. Un'automobile sfreccia lungo le strade della città, Walter Neff (Fred MacMurray) è al volante. Si ferma davanti al Pacific Building, l'edificio dove ha sede la compagnia di assicurazioni in cui lavora, entra nel suo ufficio, si accomoda alla sua scrivania e registra un promemoria per Barton Keyes, il suo collega del reparto richieste di risarcimento: "Immagino dirai che questa è una confessione: detesto le confessioni. Voglio solo che tu sappia che qualcosa di importante ti è sfuggito. Tu credi di essere un portento come investigatore, una specie di Sherlock Holmes: può darsi, ma diamo uno sguardo alla pratica dei Dietrichson, infortunio e doppia indennità. Sei stato bravo all'inizio, Keyes. Hai detto "Niente infortunio": esatto! Hai detto "Niente suicidio": esatto! Hai detto "Omicidio": esatto! Hai creduto di avere in pugno la faccenda, come se si trattasse di un piccolo giocattolo a sorpresa. Era perfetto, o quasi, perchè hai commesso uno sbaglio, un leggero sbaglio: al momento di prendere l'assassino hai fatto cilecca. Sai chi ha ucciso Dietrichson? Tieniti aggrappato al tuo sigaro, Keyes: l'ho ucciso io! Sì, io, Walter Neff, assicuratore, 35 anni, scapolo, salute buona, almeno fino a poco fa. L'ho ucciso io: l'ho ucciso per denaro e per una donna. E non ho preso il denaro e non ho preso la donna. Bell'affare...".
Neff rievoca, quindi, l'intera vicenda, a partire dal suo primo incontro con i Dietrichson per una polizza assicurativa in scadenza, quando in casa trovò soltanto la moglie Phyllis (Barbara Stanwyck), capace di stregarlo con un unico sguardo (e la sua conturbante cavigliera...): nonostante, infatti, ne abbia intuito subito le reali intenzioni, Neff non riesce a resistere al fascino perverso della donna. Insieme architetteranno l'omicidio del marito (Tom Powers) e la truffa ai danni della compagnia assicurativa per intascare il premio spettante per la sua morte (anzi, il doppio del premio, perchè per incassare la maggiorazione pagata per gli incidenti meno frequenti, la doppia indennità, scelgono un treno come luogo dove eseguire il loro diabolico piano). Il signor Dietrichson, però, si rompe una gamba e, costretto ad una convalescenza forzata a causa dell'ingessatura, deve rinunciare al viaggio in treno che, anzichè a Palo Alto per la reunion annuale degli ex-studenti di Stanford, lo avrebbe condotto verso la morte. Proprio quando Neff e Phyllis sembrerebbero costretti a rimettere mano al proprio piano, congegnato in ogni minimo dettaglio per non insospettire il collega Barton Keyes (Edward G. Robinson), la sorte viene loro incontro: il medico di Dietrichson, infatti, impone al suo paziente di svagarsi e l'uomo, fornito di stampelle, decide di partire ugualmente per il suo raduno. Ma dopo aver commesso l'omicidio, Neff si renderà conto prestissimo di non aver considerato un dettaglio fondamentale: le infernali macchinazioni di Phyllis...
Con La fiamma del peccato Billy Wilder realizza uno dei capolavori seminali della storia del noir, scritto da Raymond Chandler (che si concede anche un brevissimo cameo) e dallo stesso regista sulla base di un romanzo di James M. Cain (La morte paga doppio), a sua volta ispirato alla tragica vicenda di Ruth Snyder, condannata, insieme al suo amante, alla sedia elettrica nel 1928 per l'omicidio del marito. Ricorda, in merito alla sceneggiatura del film, Wilder (in un'intervista del luglio del 1975 estratta da Film Noir Reader 3, volume curato per Limelight Editions da Robert Porfirio, Alain Silver e James Ursini): "Un produttore, Joseph Sistrom, venne da me e mi disse: "Lo conosci James M. Cain?". "Certo", gli risposi, "ha scritto Il postino suona sempre due volte". E lui: "Bene, quello non ce l'abbiamo, ce l'ha la Metro, ma poi, per incassare qualche soldo, ha scritto un serial sul vecchio Liberty Magazine intitolato Double Indemnity: leggilo!". E così lo lessi. E dissi: "Formidabile! Non è così buono come Il postino suona sempre due volte, però facciamolo". L'abbiamo comprato e poi gli abbiamo chiesto se avrebbe gradito lavorare con me su una sceneggiatura. Rispose che gli sarebbe piaciuto, ma non poteva perchè stava lavorando a Fred il ribelle con Fritz Lang per la 20th Century Fox. Così il produttore mi disse: "A Hollywood c'è uno degli scrittori di Black Mask, si chiama Raymond Chandler". Nessuno lo conosceva o sapeva che tipo fosse, così ci accordammo e lo coinvolgemmo. Non era mai stato dentro uno studio, ma poi abbiamo iniziato a lavorare [...]. Chandler era più cinico di me, perchè era più romantico di quanto io fossi mai stato. Aveva le sue regole e considerava Hollywood come un covo di ciarlatani: non so se avesse completamente torto, ma non ha mai capito il cinema e come funzionavano i film. Non sapeva strutturare un'immagine, aveva già abbastanza problemi con i libri. Ma i suoi dialoghi... Per quelli ho tollerato molte schifezze e, dopo un paio di settimane insieme a lui e al fumo ripugnante della sua pipa, sono anche riuscito a buttare giù qualche buona battuta. È rimasto con noi durante le riprese per discutere qualsiasi modifica ai dialoghi".
La fiamma del peccato concentra in ogni suo fotogramma l'essenza archetipica del noir: un amore impossibile, il tradimento, la vendetta, l'avidità, la caduta agli inferi, l'investigazione, sesso e denaro eletti a motore di ogni umana pulsione autodistruttiva. Narrativamente, poi, sublima le coordinate stilistiche del genere (dall'ambientazione prevalentemente notturna all'incisività dei dialoghi, fino all'impiego della voce fuori campo e dei flashback) attraverso l'esemplare raffinatezza della messinscena, ingioiellata dalla straordinaria fotografia di John F. Seitz (ma un doverso plauso va riservato anche alla colonna sonora curata da Miklòs Ròzsa e, ovviamente, all'interpretazione stratosferica del terzetto di protagonisti principali) e scandita dai tagli incalzanti montaggio, che ne regolano sapientemente il crescendo di tensione. Fondamentale, poi, come rileva Renato Venturelli nel suo imprescindibile L'età del noir. Ombre, incubi e delitti nel cinema americano, la caratterizzazione dei personaggi: "La fiamma del peccato è uno dei film che in modo più implacabile indicano come il noir incarni la disperazione dell'americano medio in quanto tale. Sia la Phyllis di Barbara Stanwyck sia il Walter Neff di Fred MacMurray non sono disperati perchè senza niente, ma perchè sentono di affondare nella tragica banalità dell'anonimato: e lo stesso Barton Keyes di Robinson, presentato come il Super-Io in grado di controllare le pulsioni, viene sopraffatto dall'ometto che ha in sè e che gli fa implacabilmente riconoscere il male in tutto ciò con cui si ritrova ad avere a che fare. Si tratta di un personaggio, a suo modo meschino, che Wilder associa al perfido ritratto del sogno americano contenuto nel film, ma che in fondo rispecchia, almeno in parte lo stesso autore: Keyes è una sorta di regista che vede lucidamente che cosa c'è dentro al cuore di tutti, e nel momento in cui vi ritrova il male si colloca automaticamente in quella stessa trappola mortuaria. Attraverso il suo personaggio, La fiamma del peccato osserva lucidamente anche il percorso del moralista, che si rivela in conclusione cinico e piccolo come il mondo che giudica".
Indimenticabili, infine, alcune memorabili sequenze, dai toni secchi e disperati dell'incipit alla prima apparizione di Barbara Stanwyck, meraviglioso prototipo di ogni dark lady futura dell'immaginario noir, fino alla magnifica sequenza del delitto, con il primo piano del volto di Barbara Stanwyck ed il suo sguardo estasiato, quasi a dissimulare un orgasmo, o, ancora, alla magistrale scena in cui Edward G. Robinson demolisce l'ipotesi del suicidio di fronte ai dirigenti della compagnia assicurativa. Candidato a sette premi Oscar (tra cui miglior film, regia, sceneggiatura e colonna sonora), sarà costretto a soccombere miseramente (e vergognosamente) di fronte alla messe di statuette che pioveranno su La mia via di Leo McCarey. Quando i termini "immortale" e "capolavoro" si fondono in un irripetibile connubio di celluloide...
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