Regia di Jos Stelling vedi scheda film
Lo Scambista è una espressionistica favola , trasognata e poetica, surreale, vagamente grottesca , senz’altro più che originale, unica.
Il film si regge tutto e direi più che bene sulla forza dell’immagine, ora evocazione poetica, ora evocazione simbolica, ora narrazione e sulla bravura dei due attori; di ciò che pur non parlandosi, si dicono, sui primi piani dei loro volti e sul significato dei loro gesti.
Jim van der Waude, Lo Scambista, è puro come un bambino , ignaro del mondo degli uomini, un primitivo, “una specie di cavernicolo”. Non ha relazioni umane, eccetto che con il postino che gli consegna lo stipendio mensile e con qualche macchinista di passaggio. Nato in quelle langhe isolate , eredita il lavoro dal padre: si cura di un casello ferroviario isolato e fuori dal mondo, dove si fermano soltanto i treni che si incrociano, di cui lui scambia i binari, facendone prendere un altro percorso.
Metafora molto bella della coincidenza casuale o fatale, dell’amore, e della sua fragile labilità, che per un attimo fa incrociare le persone, magari molto diverse fra loro, i cui binari si intersecano, si scambiano per poi incanalarsi su diversi tragitti, che non saranno mai più quelli di prima, in un viaggio di non ritorno.
Chi di noi può dire , voltandosi indietro sulla strada del non ritorno, che l’ha seguita come doveva? O che di vera scelta non si tratta, se è dominio del fato o dello sbaglio umano?
Lo Scambista, senza nome, lì nasce, né si muoverà mai da quel posto. Non conosce altro del mondo, eccetto che quelle lande sterminate, ricoperte di neve in inverno e di erba fiorente in estate.
La sua vita è scandita dall’alternarsi dalle stagioni, in una materna rassicurante quotidianità, di cui lui dall’esterno muove i fili, i fili dei treni che trasportano vite, vite che lui non conosce.
E’ un tutt’uno con le macchine che manovra e che segnano il ritmo della sua esistenza, un esistenza scandita da meccanici gesti, come quelli delle rotaie, che seguono un incessante percorso di cui lui si fa ingranaggio, tacito e solo, un tutt’uno con il mondo meccanico del progresso umano e quello selvaggio ed incontaminato del paesaggio naturale.
E’ una presenza necessaria, che, con un automatico, inconsapevole servizio, in piena autarchica autonomia, continua a far funzionare ciò che l’uomo dal di fuori, da generazioni ha creato.
Stephane Exofier, La Donna, anch’essa senza nome è una donna raffinata, forse uno squillo d’ alto bordo, è la fatalità che spezza la monotona normalità del suo focolare, una donna bella , bionda vestita di rosso.
Il colore del suo mantello rosso, irrompe come un fulmine, nella tonalità fredda grigio verde agghiacciante dell’inverno, forse anche del cuore, e degli ambienti, in cui si muove abitudinariamente Lo Scambista.
Tutta trucchi e lingerie, La Donna, addormentandosi, non sa più dove si trova, scende dal treno per sbaglio e pensa che ci sarà un altro treno pronto a portarla a destinazione.
Una vana attesa: il treno arriva dopo un anno.
All’inizio, Lo Scambista, non riesce ad avere nessun rapporto con lei, i loro dialoghi sono fra sordi, persone che non voglia di ascoltarsi o che non si capiscono, perché non parlano la stessa lingua.
Ai suoi occhi quella donna è un animale che non ha mai incontrato, ma è colpito, quasi abbagliato dal rosso del vestito, dalle labbra, dalla sua eleganza. La desidera, ma non osa avvicinarsi a lei.
I colori si fanno più caldi e le tonalità più morbide, con l’arrivo della prima luce del mattino e della timida primavera nordica.
La Donna è coinvolta da quell’atmosfera onirica, immobile e fuori dal tempo, mentre Lo Scambista è attratto da lei e da rozzo primitivo si fa più docile e civile , provando piacere nel vestirsi ed improfumarsi per una festa con torta di ribes, musica e danza, di cui, macchinista, ferroviere e postino sono gli increduli indesiderati spettatori, che non capiscono e pensano che la misteriosa Donna sia una merce che si possa comprare o una facile avventura di cui si possa godere.
Lo Scambista, per gelosia, abbraccia il fucile ed spara al postino che non muore, ma si allontana sopra la moto. Rimanendo poi fortemente turbato, sprofonda man mano in un totale disinteresse ed in un graduale abbandono per la sua occupazione. Il suo ferreo regno, che l’aveva tenuto vivo fin ora, si avvia verso una lenta inesorabile rovina. Egli fugge da esso. verso le colline, oltre le quali capisce, che al di là del suo casello, c’è un mondo, a cui urla suoni incomprensibili, che nella valle riecheggiano.
Nasce in lui la curiosità per ciò che, oltre al sui microcosmo, esiste. I soldi, anche se in modo confuso, assumono un valore diverso. Innamorato dalla la Donna, non sa come comunicaglielo.
Egli , sopraffatto da sentimenti confusi e gelosie, preserva La Donna dalle attenzioni maschili del mondo esterno a suon di fucilate.
La tenue primavera si tinge del colore rosso del ribes, che mescolandosi al rosso del sangue macchia il muro sopra il letto e la camicia del postino, la cui fucilazione (stavolta riuscita) non assume i toni tragici del dramma, ma quelli grotteschi della fiaba.
Dopo l’omicidio la donna vuole partire e le tonalità dominanti ritornano a farsi più fredde e più cupe .
La Donna ritorna ad irrigidirsi nel rosso del suo abito, ritornando ad essere, presenza inafferrabile.
A lei, in ultimo, prima di partire, non rimane altro che darsi allo Scambista , regalandogli in un intimo abbraccio, un addio fatto di lacrime, di cui lui per la prima volta ne conosce il sapore.
Due corpi estranei, due contrari messi insieme dal destino, che dopo un iniziale incomunicabilità finiscono per amarsi, pur senza parole.
Dopo di che, lei è in procinto di salire sul treno, mentre lui , come nulla fosse, apparecchia la tavola per due, offre un caffè al macchinista e poi lo caccia via con l’unica sua forza rimasta, il fucile.
La rassicurante normalità, in cui egli prima viveva da solo, è diventata ormai, monotonia.
L’equilibrio dettato dal ritmo del lavoro e delle stagioni, un essere stagnante.
La solitudine, tragico isolamento.
La vita , senza senso.
La donna è orami partita, a lui un urlo
sordo,
disperato
e la drammatica consapevolezza
di tutta la sua tragica solitudine.
Allo Scambista, non rimane altro che costruirsi un giaciglio di muschio nel quale lasciarsi morire immobile di inedia, inghiottito da quell’involucro, casello ormai diventato un rudere tugurio, che non lo protegge più, mentre gli insetti che popolano la sua casa gli costruiscono intorno una fitta rete di ragnatele, il suo bozzolo funerario.
La Donna, sempre immobile e statuaria siede nel vagone ormai partito, dal viso le scende una lacrima, nelle mani stringe un insetto proveniente da quel mondo arcano, ormai lontano, che forse non vuole perdere e si posa le mani sul ventre, portatore di una nuova vita.
Una favola per dirci che l’uomo , ridotto a puro mero ingranaggio badante a se stesso. (come spesso la società ed i suoi ritmi impongono) non ha ragione d’essere ed è costretto a morirne nel corpo e nell’anima.
Incomunicabilità e solitudine rimangono purtroppo, peculiari condizioni dell’essere umano, ma che se subite per sempre, rendono la vita, non degna di essere vissuta.
Il film, non ha avuto molto successo tra il pubblico italiano, però inosservato non è passato, se Sergio Rubini , nel suo primo esordio registico, nel 1990 si è cimentato in un film “ La Stazione” , (tratto dall’omonima commedia di Umberto Marino, i cui attori Sergio Rubini e Margherita Buy, sono gli stessi dell’opera teatrale ) citazione e trasposizione italiana dell’inquietante “Lo Scambista”,
tratto dal romanzo omonimo di Jean Paul Frannsens.
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