Regia di Alejandro Jodorowsky vedi scheda film
L'orrore e l'oscenità sono fantasia applicata alla carne: una materia troppo pesante ed ordinaria per generare poesia. Eppure la liturgia del sangue è il culto che ci tiene ancorati al suolo terrestre, e che fornisce l'alimento sia al corpo sia all'anima. Per questo Jodorowsky trova giusto sforzarsi di vedere, anche in ciò che è comunemente considerato volgare o disgustoso, i tratti dell'amore, della bellezza, della gioia, come anche i segni del dolore. Il circo è l'arena in cui lo strazio della vita (la deformità, la fatica disumana, il pericolo mortale) diventano spettacolo: uno spettacolo apparentemente magico, ma, in realtà, soltanto cinico, nel modo in cui copre, col rullo dei tamburi e lo sfavillio dei lustrini, quella che in fondo è una mostruosa follia, un'assurda sfida alla natura. Jodorowsky, dal canto suo, utilizza invece le maschere, il trucco ed i costumi come evidenziatori dell'istintualità violenta e tragica: ciò che è finto odora di morte e di assassinio, come una bambola, talvolta, può richiamare alla mente un cadavere. La purezza, per contro, è invisibilità, e come l'invisibilità è un prodigio irrealizzabile su questa terra. Soprattutto, la purezza non è una prerogativa della donna, che in questo film è una divinità ossessionante e malvagia: la madre senza braccia, tirannica dominatrice di un complesso di Edipo, è una dea Kalì che usa il figlio come protesi della sua sete di vendetta. In questo film le mani – legate, amputate, alzate al cielo o atteggiate ad ali di farfalla – sono, ad ogni istante, l'espressione della condizione umana; che passa dalla libertà di essere e di agire alla prigionia fisica e mentale, o viceversa, nel lampo di un gesto distruttore. In "Santa Sangre" le tinte grevi ed infuocate della ferocia compongono una visione multiforme e lirica del mondo; come in un murales di Diego Rivera, in cui anche la povertà e l'oppressione porgono all'arte i colori vividi ed i contrasti accesi di un sogno fatto in pieno sole.
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