Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Dalla solita folgorazione di Philip K. Dick, un film distopico su un futuro in cui i reati si possono prevedere. Le implicazioni e l’adrenalina sale a livelli impensabili, ma la deriva (narrativa) di Spielberg conferisce all’opera cinematografica un senso non solo differente, ma addirittura lontanissimo rispetto all’originale letterario.
Da un’intuizione di Philip K. Dick, un film dalla grande complessità narrativa ambientato in un futuro distopico. In “Minority Report” tutto è fluttuante: i fatti, i rapporti, i ruoli. Come nella migliore tradizione del caposcuola della “generazione lisergica”, anche in questa storia di Dick la realtà è bastarda più degli uomini che la portano avanti. Si parla di futuro, di un futuro prevedibile grazie a menti superiori, i Precog, che sono in grado di allertare le forze di polizia speciali della Precrimine ed evitare che omicidi che si svolgeranno nei prossimi giorni si verifichino. È un sistema straordinario, che nella Washington del 2054 consente la diminuzione dei reati federali addirittura del 90%. Un sistema che però appare imperfetto, al punto da richiedere al Ministero di vederci chiaro, prima che la Precrimine diventi un’istituzione nazionale e, in quanto tale, ufficialmente riconosciuta. Su questo sfondo, si incrociano i destini di un poliziotto che non ha mai digerito la scomparsa del figlio, integerrimo capo di giorno e inarrestabile tossicodipendente di notte (Tom Cruise), del serafico ottuagenario fondatore del sistema (Max Von Sydow), di un ambizioso inviato del Ministero (Colin Farrell) e di un numero molto ampio di personaggi che rendono difficile capire lo svolgersi delle vicende, che avanzano tra colpi di scena e cambi di registro.
Un film intensissimo, che richiede un impegno non da poco in termini di attenzione, con la regia di Steven Spielberg che risulta scorrevole e ariosa, anche se con un andamento piuttosto arbitrario rispetto ai dettami dell’originale letterario. Coadiuvato anche dalla sceneggiatura a quattro mani di Scott Frank e Jon Cohen, Spielberg allarga ed attualizza i lampi di genialità di Dick, prendendo solo spunto dall’omonimo romanzo breve per andare verso un prodotto che è figlio legittimo del suo credo autoriale. Notevole, sul piano tecnico, l’uso delle musiche e soprattutto la fotografia, cangiante e peculiare, mentre appaiono già datati alcuni effetti speciali, al limite del farlocco.
Un cult assoluto del genere fantascientifico del nuovo millennio, in cui, non ce ne voglia l’impegno del regista di “Jurassic park” o il resto della troupe tecnica, l’assoluta genialità del soggetto è da sola sigillo di garanzia per tutta l’operazione. Peccato per l’happy end che si è voluto dare a tutti i costi, conferendo all’intera storia un valore completamente differente dall’originale letterario.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta