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Minority Report

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Minority Report

di lamettrie
8 stelle

Una miniera di spunti per riflettere sull’attualità e sulla “umanità”, intesa sia come genere umano, sia come valori da attuare. Ma anche confuso, poiché intelligentemente commerciale. Così come straordinario sotto il profilo tecnico degli effetti speciali.  

I pregi sono parecchi:

-        La condanna del totalitarismo: il controllo su ogni attività umana tende ad annichilire - da parte di un potere che favorisce iniquamente chi lo detiene – qualunque libertà agli individui, che addirittura devono ricorrere alle pratiche più disumanizzanti per praticare una giusta libertà (qui, fra gli altri, la perdita degli occhi naturali, sostituiti con altri tecnologici).

-        Gli abusi di potere: i dati dei precog (onniscienti e dunque preziosissimi, che però sono solo delle vittime) vengono strumentalizzati ai fini del potere personale – qui del capo degli inquirenti, che compie pure crimini per tutelarsi -, e a danno della verità, della giustizia e dunque della collettività. Infatti il problema è che tali dati non sono infallibili: e la prova che lo dimostra – il minority report che dà nome al film, ovvero il rapporto di minoranza – deve sparire. Inoltre la potente sceneggiatura di Frank e Cohen – estrapolata liberamente dal racconto distopico di Dick (scrittore il quale fu fonte di ispirazione anche per Blade Runner e Atto di forza) del ’59, cioè di oltre 40 anni prima, ma ambientata nel 2054 – afferma che la testimonianza più intelligente è quella di una minoranza, e per di più femminile.

-        La denuncia dell’ossessione della sicurezza, così importante nei recenti turni elettorali. Il crimine va eliminato ad ogni costo. Si ricordi poi che il film uscì nel settembre 2002, un anno dopo l’11 settembre, che angosciò tanto gli americani, i quali ossessionarono il proprio paese (e tutto il mondo, nei loro desiderata, peraltro ampiamente riusciti) al fine di scongiurare ogni possibilità di crimine avverso, in senso lato, ai propri interessi.

-        L’accenno al transumanismo: le possibilità e i rischi di questa disciplina (a volte pseudoscienza), volta al potenziamento tecnologico (comunque già ad oggi ampiamente realizzato) delle capacità umane, tanto con protesi, quanto con sostanze.

-        La bioetica: è possibile fermare e/o incarcerare e/o condannare una persona per le intenzioni di delinquere che ha (o avrebbe!!!!) manifestato?? Temi che questa recente scienza multidisciplinare è la maggiormente deputata a sciogliere.

-        Le neuroscienze, notoriamente uno degli aspetti culturali più rilevanti dei nostri tempi: qui l’indicazione è che non si può prevedere con certezza assoluta i comportamenti degli uomini. Gli elettrodi, la risonanza magnetica e altre sofisticatissime tecniche mostrano solo certe parti del cervello, e dunque di ciò che l’essere umano ha intenzione di fare, a livello molto semplice, primitivo e rudimentale (come muovere un polso…), e peraltro inficiato di notevoli incertezze (pur nel riconoscimento di tutta l’attendibilità reale, che c’è, di tali premonizioni, basate su dati scientifici); il che è il massimo che mostrarono i pur serissimi esperimenti di Libet del ‘83. Tali sofisticatissime tecniche non possono assolutamente prevedere, con sufficiente attendibilità, tutta la miriade degli atti più significativi di cui il genere umano è capace – profezia che invece qui il film fa vedere. Gli esperimenti basati su quelli di Libet (come quelli di Haynes, Soon… del 2008) che dimostrano la capacità, da parte di un soggetto B, di prevedere gli atti di un soggetto A di cui pure lo stesso soggetto A non può al momento essere conscio, ugualmente non dimostrano nulla riguardo a quanto più conta, considerando cioè le conseguenze degne di nota.        

-        Il dibattito sul libero arbitrio: è il cuore del film. Esiste o non esiste? Il film fa capire che esiste come effettivamente è, seppure in modo molto più limitato di quanto le masse credano. Le premonizioni infallibili dei precog vengono variamente smentite. La possibilità reale di scegliere, ponderando tutte le possibili alternative pur in mezzo a infinti condizionamenti, non è negata, ma – correttamente - riaffermata.

-        La prevalenza dei sentimenti degli esseri umani sulle loro scelte: i precog, che pure hanno potere enorme nel determinare le scelte degli inquirenti, sono e restano umani – per quanto vittime di un terribile avvelenamento – parteggiano contro il dolore inflitto ad altri in modo ingiustificato. La loro empatia - di schietto stampo illuministico -, per quanto soffocata tecnologicamente da chi li strumentalizza, resiste. Ma, del resto, è la medesima empatia che anima il protagonista: il quale non può tollerare - moralmente nel proprio intimo – abusi e crimini che offendono il diritto umano alla felicità. Inoltre, i traumi esistenziali - che si avvertono innanzitutto a livello emotivo – vengono esibiti in tutta la loro reale centralità: eccellente è la vicenda della sparizione del figlio del protagonista, con tutte le conseguenze che comporta – come addirittura l’abbandono (per quanto ingiustificabile per molti aspetti) che subisce da parte della moglie.

-        Gli aspetti tecnici: gli effetti speciali sono splendidi; l’elaborazione della tecnologia (automobili futuristiche, tecniche di lettura del cervello e dei suoi contenuti…) pure. Del resto, la distopia permette la messinscena di quanto non è al momento reale né possibile, anche se, almeno potenzialmente, tutto ciò non sarebbe impossibile (il riconoscimento corneale, ad esempio, era impossibile 30 anni fa, ma non oggi…): certe scene da videogioco, anche splendide (come la prima fuga del protagonista…), sono legittime. Inoltre, luci fredde e atmosfere metalliche arricchiscono l’inquietudine del futuro possibile, dove l’umano autentico e sano – ovvero caldo e affettuoso - avrebbe ben poco spazio.

 

Certo, Spielberg qui è stato un po’ troppo artificioso, fantasioso, confuso, pesante nell’affastellamento di temi ed eventi. Eppure l’improbabilità di alcuni aspetti (come l’onniscienza infallibile dei precog) serve da pretesto per sdoganare la classica - difficile a raggiungersi quanto criticabilissima - spettacolarità commerciale, che di questo film è tanto pregio quanto difetto.

All’interno di una sceneggiatura che comunque fa pesare la bilancia più sull’apprezzabilità: per quanto infatti è veloce, travolgente, e soprattutto foriera di vari finali, tutti inattesi, che si sovrappongono e dunque tendono ad elidersi l’un l’altro, cioè a cancellarsi e a sostituirsi uno dopo l’altro.                                         

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