Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Stanley Kubrick concepisce uno dei suoi film più taglienti, raccontando - con stile impareggiabile - una colossale e beffarda allegoria della guerra atomica.
Un generale americano impazzito scatena un attacco contro l’Unione Sovietica. Nonostante i tentativi esilaranti del Presidente degli Stati Uniti di rimediare, un aereo non obbedisce all’ordine di ritirata sganciando la bomba che inaugura l’inevitabile conflitto atomico…
Quando la realtà è più grottesca della finzione, il paradosso diventa critica all’attualità. Stanley Kubrick – cineasta che abbatté i confini della settima arte – conosceva profondamente questa nozione, in quanto la profetica aderenza alle contraddizioni del “vero” gli permise di raccontare l’umanità attraverso una poetica tagliente: fu lo studio impietoso della realtà a partorire la più corrosiva e inquietante opera di satira politica della storia del cinema. Insieme al precedente Orizzonti di Gloria (1957) – incentrato sui risvolti etici e morali di un conflitto – e al successivo Full Metal Jacket (1987) – volto a mostrare senza filtri gli effetti devastanti che lo sgomento provoca nella mente dei combattenti – Kubrick scolpisce un monumentale apologo sulla natura stessa della guerra. Il dottor Stranamore rappresenta il volto più detestabile dell’abominio umano, quello nascosto in sale operative dove sono perversi demiurghi a contendersi il destino del mondo. Adattando per lo schermo il romanzo di Peter George Red Alert, l’impresa del regista finisce per rappresentare una delle maggiori provocazioni mai immortalate su pellicola: trasformare lo spauracchio della Guerra Fredda in un una barzelletta, convertire la paranoia in una divertita (e divertente) opera di fantasia. Ma Kubrick non corre nemmeno il rischio di sfociare nel parodismo, poiché riesce a permeare l’ironia di raggelante scabrosità, di un macabro senso del dramma. Si ricorre ad una satira al servizio della vicenda, funzionale a tratteggiare personaggi patetici che si rivelano incarnazioni allegoriche: se il Presidente degli USA (Peter Sellers) rappresenta l’impotenza, il generale “Buck” Turgidson (George C.Scott) è l’espressione vivente della bigotteria; il comandante Jack D.Ripper (Sterling Hayden) incarna l’odio irrazionale, Miss Scott (Tracy Reed) impersona la lascivia, mentre il fantomatico Dr.Stranamore (Peter Sellers) altro non è che la follia in carne ed ossa…Kubrick orchestra un vero e proprio assalto al delirio atomico e al militarismo americano, ritraendo lucidamente la macchina burocratica attraverso una regia chirurgica, raffinatissima: l’equilibrata composizione dell’immagine, l’uso cristallino ed “espressionista” del bianco e nero, il sapiente gioco di montaggio sono elementi che si amalgamano nel conferire all’opera un’atmosfera metafisica – merito anche delle avveniristiche scenografie, in grado di evocare una visionaria stilizzazione della messa in scena – nonché teatrale: fulcro narrativo dell’intera vicenda è la War Room, stanza dove i vertici del potere si confrontano ipocritamente, la quale si presenta come un autentico palcoscenico o “ambientazione principale”. Camaleontica è la prova d’attore di Sellers, in grado di calarsi in una triplice performance con risultati eccellenti: resta indimenticabile la caratterizzazione del Dr.Stranamore, figura isterica e bizzarra dal fascino intrinseco, condensata nei soli ultimi dieci minuti di comparsa. La sceneggiatura, curata dallo stesso Kubrick, si dipana come un fiume di parole dalla carica esilarante, che alterna momenti stranianti – quando il generale Ripper espone al colonnello Mandrake il terribile piano di sabotaggio (inesistente) dei comunisti, cercando di giustificare la propria sterilità – e surreali – come la scena in cui il maggiore “King Kong” cavalca la bomba al pari di un simbolo fallico – portando lo spettatore in una dimensione instabile e anarchica. Poche pellicole sono entrate nell’immaginario collettivo come fece Il dottor Stranamore: gli esempi più calzanti sono Il Grande Dittatore (1940) di Charlie Chaplin – commovente parodia del nazismo – oppure Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas (1971) di Woody Allen – una spassosa riflessione sui sistemi totalitaristici -, riferimenti più “atipici” sono riscontrabili in opere filmiche come Todo Modo (1976) di Elio Petri o Mars Attacks! (1996) di Tim Burton; la prima è una cupa esemplificazione degli “anni di piombo” in Italia, la seconda un’esasperata visione fantascientifica che vede il patriottismo statunitense confrontarsi con un’ invasione aliena. Il film di Kubrick si presenta quasi come un tassello incompatibile col resto della sua filmografia: mentre le altre epocali intuizioni cinematografiche del genio inglese si offrono come storie “congelate” e inviolabili – ricoperte da una cortina asettica che le consegna all’immortalità – Il dottor Stranamore coinvolge il pubblico grazie alla sua singolare costruzione narrativa, tesissima e imprevedibile, e all’efficacia dei personaggi, tanto grotteschi quanto umani. Lo spettatore non può dunque restare indifferente alle tematiche trattate, quasi come anch’egli fosse chiamato ad esprimere la sua opinione nella chiassosa War Room, ritrovandosi in bilico sul filo di un rasoio. Kubrick concepisce dunque un ingranaggio beffardo, un ordigno pronto ad esplodere ad ogni visione: si tratta di un incubo politico – cui si affiancherà negli Anni Settanta il violento Arancia Meccanica – sempiterno e plausibile, intriso di una comicità graffiante. L’ entrata in scena dell’ex esponente nazista segna la fine del divertissement, quasi come se attraverso quelle lenti scure il Dottore ci scrutasse nella mente: in men che non si dica giganteschi bagliori atomici illuminano il cielo sulle note di We’ll meet again, mentre la voce di Vera Lynn allieta il compiersi della catastrofe. Eppure, dentro di noi, ancora echeggia un’orribile risata.
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