Regia di Kon Ichikawa vedi scheda film
Il difetto di questo film, lo voglio dire subito, è di indulgere un po' troppo sulla bontà, la rettitudine morale, il coraggio, il valore, la rassegnazione dei soldati giapponesi, facendo della storia una sorta di Giapponesi brava gente, che rischia di scontrarsi con quanto la storia ci ha raccontato. Addirittura, alla fine i birmani sono quasi in lacrime nel vedere i prigionieri giapponesi che lasciano il loro paese, mentre in realtà tutti i popoli asiatici liberati dal tallone del sol levante furono molto sollevati (come ha dimostrato, proprio di recente, il risorgere, in occasione dei campionati asiatici di calcio, dei rancori mai sopiti tra Cina e Giappone).
Per il resto il film di Ichikawa assume una forza di parabola morale contro la guerra, ma soprattutto contro il fanatismo (i soldati assediati nella caverna che non si vogliono arrendere nonostante che la guerra sia finita) ed anche a favore del culto dei morti, ma soprattutto a favore di chi riesce a coltivare l'umanità che è dentro ciascuno, senza lasciarsi andare agli istinti belluini che, pure, sono dentro tutti noi, come dimostrerà lo stesso regista con il successivo "Fuochi nella pianura" (1959). Il film è pieno di gesti simbolici (lo scambio dei due pappagalli), fino a correre il rischio, come ho detto, di dare una versione edulcorata dell'esercito giapponese nel suo complesso. Ma ci sono due momenti in cui non è possibile non sentirsi toccati nel profondo dell'animo: uno è quando i soldati nel recinto cantano la canzone di Mizushima e questi non può fare a meno di prendere l'arpa birmana ed accompagnare il canto dei suoi coomilitoni e quando, sulla nave che li riporta a casa, il capitano legge la lettera con la quale Mizushima annuncia che rimarrà in Birmania finché non avrà seppellito anche l'ultimo soldato giapponese.
Infine devo dire due paroline su Luchino Visconti. Il valoroso autore di una delle pietre miliari del cinema italiano, "Rocco e i suoi fratelli" (1960), ha due gravissime colpe nella storia del cinema: una è quella di avere allevato alla propria scuola quel "talentaccio" di Zeffirelli, l'altra è di esseresi strenuamente opposto, in qualità di giurato, a far assegnarae a L'arpa birmana il leone d'oro alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1956. (10 agosto 2004)
Il sergente Mizushima è un uomo giusto. È per questo che il suo capitano lo manda ad affrontare una missione pericolosa dopo che la guerra contro gli Alleati è finita e persa. Ed è per questo che, quando verrà dato per disperso, i suoi commilitoni continueranno a cercarlo per riportarlo con loro in Giappone. Ma Mizushima avrà nel frattempo trovato conforto nel buddhismo e si sarà scelto come missione quella di seppellire tutti i soldati giapponesi caduti in Birmania e rimasti insepolti.
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