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L'arpa birmana

Regia di Kon Ichikawa vedi scheda film

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Dario1966

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La recensione su L'arpa birmana

di Dario1966
9 stelle

La forza della musica che trae il meglio dagli uomini. Un'elegia della pace, tessuta sulle note dell'arpa di un soldato che nell'orrore della guerra ha trovato la strada per risorgere a una nuova vita. Un grande film da riscoprire.

A undici anni dalla fine della guerra del Pacifico, la voce narrante che si immagina essere quella di un ex soldato, rievoca la vicenda del suo reparto, impegnato in Birmania (l'attuale Myanmar) negli ultimi combattimenti, e arresosi all'annuncio della fine delle ostilità. La compagnia è avviata ad un campo di prigionia inglese, dove i giorni trascorrono relativamente sereni, ma con il cruccio di aver perso per strada il giovane compagno Mizushima, il ragazzo buono e coraggioso, soprattutto l'arpista che aveva scoperto il suo talento grazie al capitano Inoue, musicista che aveva trasmesso ai suoi soldati la passione per il canto corale. Non sanno che il giovane, smessi i panni del militare ha indossato quelli del monaco, e ha deciso di dedicare la sua vita ad un opera di misericordia: dare sepoltura ai corpi dei soldati abbandonati nei campi e sulle rive della Birmania. Liberamente tratto da una vicenda reale, è un classico che si può amare con o senza riserve, ma di sicuro non lascia indifferenti. E' un manifesto della pace, ma non aspettatevi un'opera antimilitarista sul modello di Orizzonti di gloria (uscito subito dopo): l'unico momento di vera denuncia del patriottismo fanatico è quello della scena nella grotta, baluardo del reparto che rifiuta la resa. Per il resto, Kon Ichikawa propone un ritratto dei soldati giapponesi che noi potremmo giudicare troppo bonario, ma in fondo quanto ne sappiamo noi della realtà storica di quegli anni, cosa ne sappiamo noi di ciò che succede su un fronte di guerra? Quanti di noi conoscono la guerra del Pacifico quasi esclusivamente attraverso il cinema americano? Soprattutto, siamo sicuri che il ritratto del buon soldato italiano, tutto coraggio amore e simpatia, proposto dal nostro cinema del dopoguerra sia tanto più credibile? Io penso che Ichikawa abbia scelto di non irritare i suoi connazionali, e abbia scelto di mettere i soldati nella luce migliore, quella di uomini provati da anni di conflitto, nei quali ogni ardore patriottico si è ormai affievolito, che desiderano solo tornare a casa. Più che un film di aperta denuncia della guerra, questo è un film sulla pace, sulla fratellanza. Tra le scene che restano più impresse ci sono sicuramente i dialoghi fra i soldati e la vecchina birmana che baratta con loro i suoi prodotti dei campi (l'anziana attrice è di una simpatia contagiosa, oggi sarebbe da Oscar), e ovviamente i numerosi momenti musicali, i cori dei soldati, gli arpeggi di Mizushima (integrati dai momenti "sinfonici" della bella colonna sonora di Akira Ifukube). Qualcuno trova ridondante questa presenza della musica, ma io credo che sia una presenza necessaria, perchè fa parte del senso profondo del film. Quasi tutti gli attori e il regista hanno avuto una lunga vita, sono scomparsi da non molti anni, e rimarranno per sempre nel ricordo dei pochi, ahimè, che rivedono oggi questo film. Su tutti il protagonista Shoji Yasui, intenso negli sguardi, nella gestualità misurata, tanto più quando si chiude in un silenzio monastico lasciando parlare la sua musica. Un grande attore, un grande film da riscoprire.

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