Regia di Miklós Jancsó vedi scheda film
Bel film, anzi gran bel film, tratto dal libro di racconti omonimo di Isaac Babel, ambientato durante la guerra civile russa tra i rossi (i bolscevichi) e i bianchi (gli zaristi). Commissionato al regista ungherese Jancsó per celebrare il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, il film non accontentò affatto i committenti né a Mosca né a Budapest. Raccontando infatti di un gruppo di volontari internazionalisti magiari, intervenuti a fianco delle truppe bolsceviche, il regista si tiene ben lontano, come del resto il modello letterario, dal romanticismo eroico della cultura ufficiale, e, grazie al magistrale bianco e nero di Tamás Somló, confonde i bianchi con i rossi nella tavolozza quanto nelle atrocità. Sullo schermo si susseguono una serie di manovre incomprensibili e assurde poste in atto dai soldati dell'una e dell'altra parte e si alternano (pochi) gesti d'umanità alle peggiori efferatezze. Così, ora vengono sterminati i prigionieri che appena qualche ora prima erano stati lasciati liberi, mentre si umiliano e si uccidono le infermiere della Croce Rossa, colpevoli soltanto di avere curato i feriti delle due armate, senza riguardo per il colore dell'uniforme. Probabilmente Jancsó indulge fin troppo nel mostrare i corpi nudi dei soldati e delle belle prigioniere, nonostante che risulti più che credibile la volontà di umiliare il nemico mettendolo a nudo di fronte alla truppa. Quello che è difficilmente condivisibile è il giudizio di calligrafismo dato su questo film: giudizio evidentemente influenzato dalla necessità dell'engagement a tutti i costi tipica degli anni sessanta. Se nel film è stata notata una mancanza di sviluppo psicologico dei personaggi è perché questo tipo di evoluzione non può certo essere coltivata all'interno di quell'insensata tragedia che è la guerra.
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