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Ariel

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Ariel

di tafo
8 stelle

Il cinema del nostro appare come un luogo inospitale e freddo non solo per il meteo e la geografia, in realtà è secco come i climi privi di umidità privi di quei fronzoli che servono solo a indorarci la pillola a farci credere che la vita sia fatta solo di sovrastrutture di sociologismi e di romanticismi. L'operaio minerario che lascia la cava dismessa e che non riesce a chiudere la cappotta dell'auto che gli ha lasciato in eredità un amico suicida dimostra la naturale avversione del finlandese per la tecnologia sempre nemica, quando va bene ci rende comoda la vita ma non potrà mai essere la vita. La vita di coppia  nasce come un incontro  di solitudini, la paternità è un qualcosa che si costruisce anche senza legami di sangue, il lavoro è giornaliero e precario. La tecnologia ridiventa nemica quando ti condanna al carcere dove naturalmente si trova più lavoro che fuori. La fuga finale verso il Messico appare più come un buon modo per chiudere il film, un riscatto privato e familiare dove quello che rimane è la convinzione che il protagonista vada a fare il perdente da un altra parte senza mai perdere la dignità, marginale senza mai essere criminale. Kaurismaki non vuole cambiare il mondo ma nemmeno farsene cambiare per fare quello che è già oggi un cinema irrinunciabile per ironia e per la visione tragicomica ma chiara che rappresenta, infischiandosene del successo artistico.

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