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Ariel

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Ariel

di Peppe Comune
8 stelle

La miniera in cui lavora Taisto Kasurinen (Turo Pajala) chiude e lui di punto in bianco rimane senza lavoro. E' solo ed un amico in procinto di suicidarsi gli lascia qualche soldo e una vecchia Cadillac decappottabile con la quale scorazza in lungo e in largo senza una meta precisa. Fino a quando non incontra Irmeli (Susanna Haavisto), la donna di cui s'innamora, e non si imbatte nel compagno di cella Mikkanen (Matti Pellonpää), che si trasformano nei punti fissi di un'esistenza ondivaga. Ariel è il nome di una nave che conduce in Messico e dopo rapine subite e brutti incontri, il carcere e un evasione, Taisto Kasurinen ha voglia di una fuga in terre lontane, per "lasciare indietro tutta la tristezza e i tormenti" (come recita la canzone che accompagna i titoli di coda).

 

Turo Pajala

Ariel (1988): Turo Pajala

 

Secondo capitolo della "trilogia dei perdenti" (dopo "Ombre in paradiso" e prima di "La fiammiferaia"), "Ariel" è un film che viaggia veloce come la Cadillac che assorbe i pensieri bui di Taisto, tocca diversi generi e diversi cuori, per fermarsi al punto esatto in cui la surreale decomposizione dei guai si accompagna alla speranza di ricominciare di Taisto e Irmeli. Si ride e si riflette alla maniera tipica di Kaurismaki, con l'ironia mista a tristezza (emblematiche in tal senso due sequenze su tutte : il dialogo al bar che precede il suicidio in bagno dell'amico di Taisto e il  Mikkanen ferito a morte adagiato sul sedile posteriore della Cadillac che spinge il bottone che alza la capote dell'auto dopo che Taisto ha viaggiato all'addiaccio per tutto il tempo, in mezzo alla neve, credendola bloccata). I personaggi di Kaurismaki sono leggeri come dei ramoscelli in perenne balia delle maree, troppo deboli socialmente per non lasciarsi traportare dove il vento vuole, e davvero poco convincenti per passare per dei cattivi credibili. Taisto Kasurinen ne è un prototipo perfetto, troppo giovane per poter vantare crediti col mondo del lavoro e troppo vecchio per  poterne iniziare uno partendo da zero. C'è sempre una distanza da colmare, un tempo che non si trova mai all'ora esatta e la giusta situazione che non capita mai quando serve. E' in mezzo al guado, viaggia verso l'ignoto, con una sola faccia da poter spendere e senza neanche un indirizzo da poter inserire nel salvadanaio della vita. I tipi come lui non esistono per il mondo "civile", e tra di loro sembrano incontrarsi con l'istintualità di chi sa riconoscere a naso l'odore della marginalità. Sono buoni per natura e si ritrovano nei guai per necessità, si spingono a fare i duri senza avere un colpo in canna e giocano a fare i furbi imitando i divi del cinema. Macchiette di un mondo che non gli appartiene da tempo. Taisto Kasurinen è un'altro mirabile tassello nella gioielleria di famiglia di Aki Kaurismaki, un luogo delle delizie per chiunque voglia immergersi in un cinema concepito col minimo consentito, senza arzigogoli di sorta e senza troppi giri di parole, dove si respira forte l'aria pesante delle ingiustizie sociali ma si gioca ad ingolfarne i meccanismi prevaricatori con un pò di intelligente umorismo. Dove la pura poesia può avere le fattezze di una Cadillac bianca decappottabile che sfreccia impavida in mezzo a un desolante paesaggio innevato. La magica leggerezza del tocco.

 

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