Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Al funerale di un celebre violoncellista (che non si vede mai in faccia) partecipano la moglie e le numerose amanti più o meno ufficiali. Un flashback rievoca gli avvenimenti dei suoi ultimi quattro giorni di vita, a partire da quando un musicologo era venuto a trovarlo nella villa di campagna per scriverne la biografia ed era entrato in contatto con il suo harem e la sua corte di domestici. Il primo film a colori di Bergman, punteggiato da didascalie da cinema muto e concluso dalla battuta “Il film è finito”, è solo un intermezzo di alleggerimento fra Il silenzio e Persona: il regista chiama a raccolta le sue fidate muse per mettere in piedi una fantasmagoria simil felliniana, con l’obiettivo di ridicolizzare sia la sacralità della figura dell’artista sia le elucubrazioni interpretative dei critici. Ma l’(auto)ironia non è davvero nelle sue corde, e i temi sono sproporzionati rispetto a un’operina fragile, senza spirito, che non riesce mai a far ridere. Una sciocchezzuola non indecorosa, ma sicuramente dimenticabile.
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