Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Un film splendido, da ogni punto di vista. Come tanti capolavori, il suo fascino scaturisce da una dialettica dei contrari: il fanatismo degli uomini contro il buon senso delle donne; l'orrore reale e storico della guerra contro il fascino visionario e mitico della fantasia. Un film impeccabile nel disegno dei personaggi, nella successione dei tempi narrativi, nella capacità di inventare paesaggi evocativi fra sogno e realtà (come la traversata del lago, in una fitta coltre di nebbia). Utilizzo suggestivo della colonna sonora, in un'opera capace di elogiare il lavoro artigianale e di condannare l'avidità mercantilistica, di decantare la mite e dolente dignità delle mogli abbandonate dai propri mariti ad un universo di violenza e barbarie, di condannare senza appello la follia del militarismo (anche nella veste nobile del samurai, qui ampiamente ridicolizzata), di concepire e rappresentare la dimensione onirica come ambiguo limbo di incanto estatico in procinto di precipitare nell'incubo, di ricordarci infine che la Morte è sempre la sostanza ultima delle peregrinazioni umane su questo pianeta. Lo stile di Mizoguchi è inconfondibile: il movimento si crea in profondità, non tanto per mezzo di soggettive o carrelli a seguire, ma facendo muovere o interagire i personaggi fra i diversi piani di un'inquadratura ferma. Più frequente invece è il carrello laterale, altra cifra tipica di Mizoguchi: tramite concisi piani-sequenza, il maestro nipponico riesce a risolvere con poche mosse momenti clou, conferendo ad essi quella singolare mistura di pathos sommesso, impotenza e pietas che contraddistingue il suo sguardo. Penso sinceramente che gli ultimi, sconvolgenti, tristissimi 10 minuti di questo film siano una delle pagine più alte di tutta l'arte cinematografica e un esempio forse insuperato di rappresentazione dello "spirito" tramite un linguaggio così "materialista" come quello del cinema.
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