Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Forse il capolavoro fra i capolavori di Mizoguchi, l'opera in cui il regista ha lasciato l'impronta maggiore delle sue qualità stilistiche e poetiche. Ugetzu Monogatari è un racconto simbolico dal lento incedere, sostenuto da una atmosfera rarefatta e lunare.
Nelle sequenze migliori, il senso del meraviglioso esplode in preziose infiorescenze: mai forse forse prima il cinema era riuscito a comunicare con altrettanta efficacia il magico e il miracoloso.
Ambientato nel Giappone del XVI secolo e liberamente tratto da due racconti (La capanna fra le graminacee selvagge e La lubricità dello spirito del serpente) straordinariamente fusi insieme, vive in un'atmosfera rarefatta esaltata da dissonanti musiche giapponesi, da una fotografia appannata e sensibilissima capace di trasfigurare la realtà in un'aura remota, sospesa fra l'oscurità e i barbagli fosforescenti della luna sui prati, dalla recitazione strepitosa realisticamente e drammaticamente calata in un'altra epoca e in un altro mondo di Machiko Kyo, Kinuyo Tanaka e Mitsuko Mito..
Sono molti i momenti di ineffabile, balenante bellezza: ci si trova condotti per mano quasi per magia, tra eventi incredibili di straordinaria tenuta formale: un uomo viene travolto dal sortilegio esercitato su di lui da una maga, si introduce nella sua casa, e poi, una volta dissoltosi l'incanto, si ritrova solo su un prato (la donna era lo spirito defunto e inquieto di una ragazza, errabondo nell'aldilà per non aver mai potuto conoscere l'amore in vita). Come ha scritto G: C. Cavallaro, insomma, "è il magistero purissimo dello stile, il miracolo inesprimibile per cui il sogno e la realtà si fondono senza sforzo, come due momenti di una stessa esistenza (non vi è passaggio, stacco alcuno, di tecnica, di tono, tra le sequenze della realtà e quelle del sortilegio)".
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