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I racconti della luna pallida d'agosto

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I racconti della luna pallida d'agosto

di vermeverde
10 stelle

I racconti della pallida di agosto (Ugetsu monogatari) è stato girato nel 1953 e nonostante i suoi settant’anni rimane tuttora uno splendido film da vedere e rivedere. La trama, ispirata a racconti di M. Akinari e G. de Maupassant, si svolge dopo la metà del Cinquecento nei pressi del lago Biwa, durante le guerre intraprese da Nobunaga Oda per la conquista del potere, e riguarda le vicissitudini di due giovani coppie: il vasaio Genjuro (Masayaki Mori), la moglie Myagi (Kinuyo Tanaka) e il contadino Tobei (Eitaro Ozawa) con la moglie Ohama (Mitsuko Miko): questi potrebbero vivere serenamente, ma l’avidità di Genjuro tutto teso al guadagno e l’aspirazione di Tobei a diventare samurai per migliorare il proprio status economico e sociale, in concomitanza con la guerra in atto saranno causa di gravi conseguenze.

Nel film sono presenti le istanze ricorrenti nella filmografia di Mizoguchi: in primo luogo la denuncia della condizione di sottomissione delle mogli nonostante la dedizione alla famiglia ed il duro impegno per sostenere il marito. Infatti, simmetricamente all’illusorio realizzarsi dei desideri di Genjuro (il guadagno) e di Tobei, che diventa samurai con l’inganno, la realtà devasta la vita sia di Myagi che di Ohama perché egoisticamente lasciate sole dai loro uomini. Altro tema caro al regista è il pacifismo: sono mostrati gli aspetti deleteri della guerra sia direttamente, presentando i soldati dediti a saccheggi, stupri, omicidi e anche (analogamente all’Organizzazione Todt nazista) alla cattura di uomini per obbligarli ai lavori forzati, sia indirettamente per l’influsso negativo che ha sulla vita e sui comportamenti degli uomini: nel finale Tobei rinsavito, infatti, dice “La guerra ha confuso le nostre menti”.

In questo film il regista inserisce nella narrazione, con grande naturalezza, l’elemento fantastico/soprannaturale in tre distinti episodi: l’incontro del pescatore assalito dai pirati nella celebrata sequenza (peraltro girata in studio)  del viaggio in barca sul lago avvolto dalla nebbia con il malinconico canto di Ohama e il funereo sottofondo dei colpi del tamburo giapponese taiko, come premonizione dei futuri tragici avvenimenti; nella parte centrale della storia con Genjuro ammaliato dalla figlia del defunto capo del clan Katsuki, la signora Wahasa (Machiko Kyo) dalle sinuose movenze, e nel toccante finale.

Mizoguchi affronta il rapporto fra reale e fantastico facendo in modo che il soprannaturale sia percepito come del tutto analogo alla realtà, senza usare alcun artificio o tecnica di ripresa che lo distingua: solo la musica di sottofondo è sottilmente allusiva. Questa scelta è parallela al ritegno del regista che mostra le scene di violenza con distacco, senza compiacimenti, omettendo di riprenderne gli aspetti più espliciti, ricorrendo a volte al campo lungo significando cioè che, più gli avvenimenti in sé, ha importanza l’influenza che questi hanno sull’animo dei protagonisti: è esemplare, al riguardo la scena del risveglio di Genjuro fra le sterpaglie dinanzi alle rovine del palazzo di Wahasa quale metafora della sua degradazione morale di cui ha preso coscienza.

Grandi pregi del film sono la fluida narrazione priva di fronzoli che non fa mai scemare l’interesse dello spettatore, merito anche degli sceneggiatori Yoshikata Yoda e Matsutaro Kawaguchi, e la magnificenza visiva dovuta al gusto pittorico delle inquadrature ed allo splendido bianconero di Kazuo Miyagawa, abituale collaboratore di Mizoguchi, memore dello studio giovanile della tecnica pittorica sumi-e a inchiostro di china.

Un esempio di genialità registica che mi piace sottolineare, è il bellissimo movimento di macchina che senza soluzione di continuità, raccorda la scena del bagno di Genjuro, con la scena squisitamente pittorica dei due amanti in riva al lago, elidendo con grande eleganza lo spazio e il tempo.

Importante contributo al valore estetico della pellicola è l’ottima recitazione di tutti i grandi attori che impersonano i protagonisti con sensibilità espressiva e la musica di Fumio Hayasaka, eseguita su strumenti tradizionali.

I racconti della luna pallida d’agosto è senza dubbio uno dei più bei film della cinematografia, non solo giapponese ma mondiale.

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