Regia di Giuseppe De Santis vedi scheda film
Satira di una borghesia arrivista e priva di scrupoli, che se ne frega del Sessantotto e della Chiesa e che andrà a costituire il sottobosco della politica italiana e l'ossatura della classe dirigente, che purtroppo forma ancora oggi la spina dorsale del governo a diversi livelli nel nostro paese. Il proletariato, di contro, non ha che la possibilità di vendere il proprio corpo o la propria libertà («la libertà di andare in galera», come dice Nicola). Ecco, forse è così che si è retta l'Italia per oltre cinquant'anni e non è detto che non sia ancora così. Questa lettura per così dire sociopolitica è il merito maggiore del film di De Santis, che però è squilibrato ed eccessivo in tante situazioni e in troppi personaggi, a cominciare dal suocero del protagonista, interpretato da un Ivo Garrani che sa dare muscoli, mascelle ed arroganza ad un imprenditore condizionato nei comportamenti soltanto dal portafogli e dalla reputazione.
In sostanza, il regista di Riso amaro e Italiani, brava gente gira con la stessa grazia di un elefante in cristalleria, probabilmente pungolato da otto anni di forzata inattività cinematografica. E questo resterà anche l'ultimo film di De Santis. Evidentemente, il regista era rimasto lo stesso dei suoi film più famosi, mentre il cinema e la società italiani stavano profondamente cambiando (non sempre in meglio), rispetto a un'epoca in cui la politica - perché un occhio di De Santis è sempre stato rivolto alla lotta politica - era un muro contro muro che aveva quanto meno il pregio della chiarezza.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta