Regia di Annie Baker vedi scheda film
Lacy in the Rye.
La drammaturga steinberg-pulitzerata Annie Baker (Boston, 1981) riesce a cogliere e restituire, con quel fertile limbo di mattinate pallide e assorte, pomeriggi illuminati d’immenso, imbrunir sul far della sera e (s)f(r)inir (cicaleggiar, gracidar, cinguettar) dell’estate sedimentanti un’infanzia “ideale” (quanto autobiografica “poco” importa) ch’è “Janet Planet”, questo suo esordio di scrittura e regìa al cinema dopo tre lustri di quinte, assiti di palcoscenici e spalti/tribune (“Body Awareness”, “Circle Mirror Transformation”, “The Aliens”, “Nocturama”, “The Flick”, “The Antipodes”, “Infinite Life” e un adattamento di “Zio Vanya”), un coacervo d’indirette correlazioni simpatetiche con sprazzi di opere recenti - “An Cailín Ciúin” (Colm Bairéad, 2022, da Claire Keegan, 2010), “Aftersun” (Charlotte Wells, 2022), “Tal Día Hizo un Año” (Salka Tiziana, 2020), “Mid90s” (Jonah Hill, 2018), “i Cormorani” (Fabio Bobbio, 2016), “Queen of Earth” (Alex Ross Perry, 2015), “le Meraviglie” (Alice Rorhwacher, 2014), “Butter on the Latch” (Josephine Becker, 2013), “Hide Your Smiling Faces” (Daniel Patrick Carbone, 2012), “Low Tide” (Roberto Minervni, 2012), “Kid” (Fien Troch, 2012), “Tomboy” (Céline Sciamma, 2011)... - e con un accenno d’innesto non così devastantemente “psycho-horror” da Todd Solondz (“Welcome to the DollHouse”, “Palindromes”, “Wiener-Dog”), quell’attesa per il salto quantico tra elementari e medie qui impersonato dall’ulteriore/ennesimo primo passo sul predellino dello scuolabus.
Accanto alla piccola protagonista esordiente Zoe Ziegler, qui perfettamente utilizzata da Anne Baker (poi chissà, ma le premesse per una carriera attoriale ci son tutte), si sviluppa un ottimo, eterogeneo cast: Julianne Nicholson (Mare of Easttown), il pianeta madre, e Sophie Okonedo (Catherine Called Birdy), Elias Koteas (Zodiac, Two Lovers, Shutter Island) e Will Patton (the Postman, Wendy and Lucy, Meek's Cutoff, Yellowstone, Horizon: an American Saga), i vari corpi "estranei".
Fotografia (1.66:1) sovraesposta/solarizzata con grazia in stile nineties (negativo di 16mm gonfiato a 35mm per la stampa) di Maria Von Hausswolff (Volada/Vanskapte Land), montaggio di Lucian Johnston (Hereditary, Midsommar, the Tragedy of Macbeth, Causeway, Beau Is Afraid), scenografie di Teresa Mastropierro, costumi di Lizzie Donelan, sound design di Paul Hsu e supervisione musicale di Joe Rudge. Producono BBC e A24, che distribuisce. Il rurale Massachusetts interno del 2022 interpreta il sé stesso del 1991.
Finale indimenticabile con la formidabile “Unstoppable” di Noah VanNorstrand (da “Share the Moon”, 2023) suonata live da lui medesimo & friends che, tornando sul vulnus del “It’s a complete mistery to me!” in risposta al “Perché non hai amici?”, accompagna il fremito d’un baltus-preraffaellita sorriso in primissimo piano che non sboccia, ma muore sul nascere riuscendo a trattenere il pianto.
Dice “È nata un autore” (dall’allestimento di una piece teatrale alla messa in scena di una sceneggiatura cinematografica). Dico “Abbiamo un film.”
* * * * (¼) - 8.25
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