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L'angelo sterminatore

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'angelo sterminatore

di port cros
8 stelle

Commedia dell'assurdo tanto criptica quanto spietata, dove il surrealismo di Buñuel, pur sfuggendo a dirette interpretazioni logico-razionali, esprime una satira feroce dell'odiata borghesia dominante e della chiesa.

 

scena

L'angelo sterminatore (1962): scena

All'inizio rimaniamo confusamente spiazzati dalle stranezze apparentemente incomprensibili sottilmente disseminate durante una apparentemente normale festa in una lussuosa casa patrizia: cosa spinge la servitù ad abbandonare alla chetichella il posto di lavoro mentre un ricevimento è in corso? perché a notte fonda nessuno degli invitati rientra a casa propria? perché persino i padroni di casa si sdraiano a dormire sul tappetto invece di ritirarsi in camera loro?

 

Gli opulenti personaggi ci appaiono fin da subito superficiali e pretenziosi, irritanti nelle loro conversazioni trasudanti un classismo arrogante e crudele (“Creo que la gente del pueblo, la gente baja, es menos sensible al dolor. ¿Usted ha visto un toro herido alguna vez? Impasible). Ma, man mano che la notte lascia spazio al mattino seguente, ci rendiamo conto che il loro comportamento si fa sempre più bizzarro, finché finalmente si comprende che una forza (mentale? di origine soprannaturale? questo non si capirà mai) invincibile impedisce agli ospiti di varcare la soglia del salone ed a chi si trova all'esterno di entrare nella villa.

Tale forzata convivenza dà progressivamente avvio ad un gioco al massacro snervante, in cui i ricconi, resisi conto dell'inescapabilità della prigionia e dell'impossibilità di essere soccorsi, sprofondano in crisi di panico e di nervi e la solidarietà è messa da parte dal prevalere di un egoismo idiota. Lo stile registico adottato ci mantiene comunque a debita distanza dai personaggi, che sono resi sgradevoli al punto che non riusciamo ad identificarci né a preoccuparci per la loro sorte. Anche per questo è un film non facile, soprattutto alla prima visione, che non cerca di farsi amare e punta a metterti in mente un tarlo su cui riflettere in seguito più che ad appassionare od emozionare nell'immediato; devo dire però che il puro caso di averlo visto in questo periodo di confinamento domestico obbligato per emergenza coronavirus l'ha reso di un'attualità più intrigante.

 

 

Una commedia dell'assurdo che gioca con cattiveria con le differenze di classe, ove i servitori fuggono come subodorando qualcosa, mentre i padroni non riescono a valicare un muro invisibile, ma c'è un maggiordomo che resta inspiegabilmente intrappolato in casa e condivide il destino dei borghesi (forse perché aspira a far parte di quella classe?): intrappolare l'alta borghesia può essere letto come beffardo contrappasso ordito dal socialista Buñuel per il sistema sociale ingiusto in cui questa intrappola i ceti subalterni dietro il muro invalicabile delle disuguaglianze sociali.

E' pure una satira della dittatura delle apparenze e delle convenzioni sociali, all'inizio rigidamente osservate (ospiti che criticano altri solo perché hanno osato togliersi la giacca da cerimonia per riposare), che lasciano gradualmente spazio all'emergere di feroci istinti animali.

Buñuel gioca anche con le aspettative del suo pubblico, che si attende di essere sul momento di scoprire la spiegazione del bizzarro fenomeno, che il regista non svelerà mai. Infatti pure la scoperta dello scioglimento dell'incantesimo, che avviene ricollocandosi esattamente nelle stesse posizioni di quando il blocco si era creato quella prima sera, appare del tutto priva di logica.

 

 

Opera dissacrante e volutamente criptica, ove il genio surrealista di Buñuel sfugge a qualsiasi interpretazione o senso razionale, divertendosi ad inserire elementi spiazzanti (la ripetizione della stessa scena che appare quasi un errore del montaggio ed invece è voluta, oscuri simboli come l'accorrere spontaneo degli agnelli sacrificali). Il surrealismo qui si esprime soprattutto nella creazione di un contesto assurdo ed irrazionale più che nella visionarietà dell'immagine; quest'ultima erompe principalmente nell'incubo della pianista che sogna di venir strangolata da una mano amputata.

L'ultima zampata nel finale, con la medesima situazione che si ripresenta all'interno della chiesa ove i liberati rendono grazie per la loro salvezza, permette all'anticlericale Buñuel di chiudere il film con uno dei suoi usuali attacchi polemici alla religione cattolica, accomunata come bersaglio all'alta borghesia in quanto ottuse e reazionarie complici nella spartizione e gestione del potere. La stessa insensatezza della forza invisibile che piega la volontà umana può d'altronde essere letta come metafora polemica dell'irrazionalità del piegarsi ai dogmi religiosi.

 

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