Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Una miseria da non credere. Premetto che è l’unico film che ho visto di Bunuel; comunque è impressionante la differenza fra la fama planetaria di cui gode (è considerato da molti come un capolavoro assoluto della storia del cinema, come tanti suoi film) e la bassezza e l’insignificanza che mette realmente in mostra.
L’unico aspetto che ha un senso è all’uscita dalla messa, alla fine, quando la gente ha paura di uscire: questa, peraltro vaga, denuncia del conformismo è chiave di lettura anche per l’incapacità di uscire dalla casa quando era il caso, il che è poi il problema di tutto il film. A parte questo merito, quasi insignificante nell’ora e mezza di un film che pare durare delle giornate intere per quanto è sciocco, noioso e ripetitivo, c’è il vuoto della ragione, il nulla di un contenuto stimolante per l’esperienza umana. Non si può ridere, eppure ci sono tante trovate provocatorie: ma nessuna di queste ha un senso (la fuga della servitù, l’orso…). Questa torma di disperati, senza neanche lo straccio di un valido motivo per esserlo nella fattispecie (potevano andarsene quando volevano e ogni spasmo cessava lì), con l’andare del tempo mostra tutto il peggio di sé: ovvio, quando si è costretti alla convivenza forzata e a dover sopravvivere. Quindi dopo qualche giorno la gente sragiona, esattamente come può fare uno spettatore di questo lungometraggio, cui può sembra di assistere ad un incubo continuo (e cui pare di identificarsi con i protagonisti solo per questo: il dolore mentale che palpita con l’andar dei giorni, in quanto, come detto, 90 minuti di film equivalgono qui alle, approssimativamente, 90 ore di supplizio vissute dai protagonisti).
Il finale poi è ridicolo: basta rievocare le parole e i gesti, in modo del tutto superficiale, della serata incriminata, per liberarsi.
Se un autore non è stato stroncato dalla critica per una pochezza di questo tipo, deve considerarsi baciato dalla buona sorte
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