Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
E' uno spendido esempio di quel "cinema della crudeltà" che era stato teorizzato negli anni Venti dallo scrittore francese Antonin Artaud: Bunuel scaglia uno dei suoi attacchi più feroci contro la classe borghese, che rinnoverà una decina di anni dopo con "Il fascino discreto della borghesia". Certamente uno dei suoi film più cupi, claustrofobici, angoscianti, efficacemente sottolineato dalla fotografia in bianco e nero di Gabriel Figueroa che contribuisce all'effetto drammatico e allucinatorio di molte sequenze. E' una sorta di odissea in cui vengono gradualmente svelate le ipocrisie, le bassezze e il sostanziale egoismo dei rappresentanti dell'alta società, e potrebbe quasi essere definito un aggiornamento dei temi de "La regola del gioco" di Renoir, trasferiti nel Messico del dopoguerra, ma, rispetto al film francese, "L'angelo sterminatore" si distingue per uno stile più onirico e per alcuni elementi di derivazione surrealista (come la presenza dell'orso e del gregge di pecore), tipici della poetica di Bunuel. Tratto da una pièce di Bergamin intitolata "Los naufragos", a livello drammaturgico è strutturato su un crescendo della situazione da incubo che la regia di Bunuel ha saputo governare benissimo, grazie anche a una notevole mobilità della macchina da presa. La compagnia di attori messicani è affiatata ed asseconda le intenzioni del regista come meglio non si potrebbe: sono tutti volti poco noti dalle nostre parti, con l'eccezione di Silvia Pinal, che era stata la protagonista di Viridiana dell'anno precedente ed era la moglie di Gustavo Alatriste, produttore di entrambi i film, ma che in questo film è relegata ad un ruolo secondario. La versione italiana è tagliata di almeno dieci minuti ed ha eliminato alcuni dei dettagli narrativi più forti, come ad esempio la scena in cui il cameriere spiegava che, per calmare la fame, stava mangiando della carta (la versione integrale è disponibile su Youtube).
voto 10/10
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