Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Come praticamente sempre accade con i lavori di Bunuel, la chiave di lettura è ciò che più di incerto esista, eppure è fondamentale darsi dei punti di riferimento concreti e razionali per districarsi nella marea di azioni, pensieri, dialoghi e suggestioni che il regista mette in scena. Qui è evidente il riferimento religioso (il film si apre e si chiude con due frasi presumibilmente tratte da testi sacri, sebbene manchi la citazione della fonte, o comunque di stampo evangelico) e sociale (la borghesia intrappolata, la servitù in fuga). Ma dove voglia arrivare di preciso Bunuel è materia di ampio dibattito. E questa è la forza di un simile film: oltre che stilisticamente impeccabile, il regista sa rappresentare con freddezza chirurgica ed originalità il disagio di un'epoca (e forse dell'uomo in sè), attribuendo un plusvalore all'opera nell'elemento critico e nel modo in cui lo sviluppa; maestro del surrealismo nel cinema, Bunuel ama velare il suo messaggio sotto più strati, non necessariamente legati fra loro logicamente ed ognuno da interpretare. La difficoltà di questo film, corto (ottanta minuti di durata) e quasi interamente ambientato in una stanza, è immane. E così sono il suo fascino e la sua potenza espressiva.
In una sfarzosa villa è appena finita una cena con numerosi invitati. Ma, sebbene tutti parlino di andare a casa, nessuno si decide a fare il primo passo verso la porta. Le ore passano nell'immobilità, mentre fuori si accalcano parenti, amici, curiosi e forze dell'ordine. Quando la situazione iniziale viene ripristinata, gli invitati riescono ad uscire, ma dentro ad una chiesa accade di nuovo la stessa cosa alla fine di una messa.
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