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L'angelo sterminatore

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'angelo sterminatore

di laulilla
10 stelle

Premio FIPRESCI al Festival di Cannes 1962

In una grande città messicana un ricco signore invita un gruppo di persone a casa sua per cena: sono  amici e conoscenti che come lui hanno appena visto all’opera Lucia di Lammermoor.
Gli invitati, fra i quali alcuni professionisti prestigiosi, (un medico, un direttore d’orchestra, un soprano, un architetto, un generale), sono accomunati - come gli amici che li accompagnano e come i padroni di casa - non solo dall’elevata condizione sociale, ma anche dall’abitudine alle buone maniere e al lusso; qualcuno di loro persino dall’appartenenza massonica.

La serata si annuncia singolare: la servitù se n’era andata quasi al completo, all’improvviso, apparentemente senza plausibili ragioni, come spinta da una strana inquietudine, né erano bastate le minacce dei padroni di casa a trattenerla; un orso nero, chiamato la bestia – con evidente riferimento al linguaggio apocalittico – e alcuni agnelli erano entrati in casa, ma erano stati tenuti lontani dal lussuoso salone in cui si stava cenando, delimitato sul fondo da tre porte dipinte con grandi immagini sacre: quella della Vergine col Bambino; quella di un santo e quella dell’Angelo dell’Apocalisse che annuncia il giorno del giudizio.

Nel corso del film, queste tre porte assumeranno funzioni poco sacre, poiché  nasconderanno tutto ciò che i commensali rifiutano di vedere: una, dentro a preziosi vasi cinesi, nasconderà gli escrementi degli invitati; un’altra riparerà gli amanti clandestini, mentre la terza nasconderà il cadavere di un uomo morto, durante la notte, nel salone da pranzo.

 

Da questo luogo, al primo piano della casa che, pure, comunica coll’atrio, nessuno sarebbe uscito per molti giorni, trattenuto da una misteriosa forza.  

Durante questa straordinaria sospensione del tempo, ognuno avrebbe mostrato la natura più profonda di sé, dimenticando – preso dal panico – il carattere amabilmente civile che l’aveva in precedenza contraddistinto. Si fanno sempre più frequenti, perciò, i gesti maleducati, violenti e aggressivi; gli incubi inducono comportamenti scomposti, pianti, nonché un crescendo di crudeltà insensata e surreale.

Il modo per uscire da questa sorta di incantesimo verrà suggerito da Leticia (Silvia Pinal), che inviterà i presenti a ricordare esattamente la successione dei fatti dal momento del loro ingresso in quell'abitazione, per ritrovare le ragioni dell’amicizia e soprattutto la coscienza della comune appartenenza, che li aveva spinti ad accettare l’invito e a entrare.

 

Ricuperando la memoria degli accadimenti e la propria disposizione nel gruppo, ciascuno potrà guadagnare infine l'uscita e rivedere l’esterno, dove stava aumentando la folla dei familiari e dei parenti – nonché dei curiosi – che con la tutela delle forze dell’ordine e con l’assistenza di parroci e prelati, vorrebbero entrare senza riuscirvi, a loro volta trattenuti da una misteriosa forza…

 

 

 

 

La storia raccontata nel film non procede linearmente:  alcune scene sembrano ripetersi, anche se impercettibili differenze si possono comunque rilevare, ciò che prelude all’iterarsi - verso la fine - della situazione di inquieta e irrazionale paura di uscire, questa volta dall’interno della chiesa in cui lo stesso gruppo di persone stava assistendo al Te Deum di ringraziamento per…l’avvenuta liberazione!

 

La logica, senza sbocco, della paura.

 

Prescindendo dalle parole di Buñuel che metteva in guardia i critici dalle interpretazioni  cervellotiche del suo film, ricorrendo a citazioni di filosofi o maîtres a penser che lo avrebbero ispirato, quest’opera si può tuttavia in certo modo ricondurre ad alcuni temi che il regista ci ha abituato a riconoscere come frequenti nel suo cinema.

Forse per la prima volta viene osservata con tanta ironia feroce la borghesia – qui è quella messicana – protagonista di un progetto conservatore – reazionario? – che cristallizzando la gerarchia sociale, salvaguardi i suoi privilegi di casta, grazie all’ alleanza con le forze che se ne fanno garanti: un clero asservito e le forze della repressione. Questo non è sufficiente, tuttavia, a superare le paure e le angosce esistenziali: la morte, come l’amore, dono di sé che alla morte assomiglia. Non è un caso che gli amanti clandestini, ritrovati morti nel loro nascondiglio, suscitino sguaiate ma esorcistiche risate.

Quella borghesia rimane perciò prigioniera dell’ostentazione di sé e della sua fittizia rispettabilità, surrogato della sicurezza che non ha, né riesce a offrire di sé  e dei propri pseudo-valori un’immagine così seducente da spingere i ceti subalterni all’imitazione.

Qualcuno, è pur vero, prova ad avvicinarsi a quel modello, come l’unico servo rimasto nella casa, mentre altri se ne stavano andando,  forse a fare la rivoluzione, se fossero riusciti sopravvivere alle minacce e alla repressione della polizia, come sembra indicare l’ultima scena del film.

 

 

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