Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Finalmente sono riuscito a vedere questo bellissimo "Anatomia di un rapimento" che molti critici e cinefili conoscitori dell'opera di Kurosawa reputano fra le sue opere migliori in assoluto.
Si tratta di un thriller/noir tratto liberamente da un romanzo dell'americano Ed McBain, quindi un film appartenente alla produzione "di genere" del maestro, eppure quello che avrebbe potuto limitarsi ad un banale film poliziesco realizzato secondo una formula consolidata diventa invece un'opera densa, problematica, di sorprendente maturità nel suo viaggio in territori inquietanti, dove la povertà spinge un giovane a compiere un rapimento di un bambino che avrà ripercussioni sociali e morali molto pesanti. Un'opera virtuosistica nella messa in scena, con una prima parte di un'ora girata praticamente tutta in una stanza che però coinvolge lo spettatore, senza mai annoiarlo, poi con una seconda che lascia spazio ad una indagine poliziesca certosina esposta con grande ricchezza di dettagli, mentre, come disse l'esegeta kurosawiano Aldo Tassone, forse concede poco spazio al dramma del rapitore, che viene esposto nelle ultime scene, anche se secondo me il film funziona benissimo in questa maniera.
Film strutturato su sequenze spesso fittamente dialogate, ricche di dettagli sulle indagini, con alcuni momenti di particolare intensità e dal ritmo elevato come la scena di Mifune sul treno con le valigie che getta dal finestrino, "Anatomia di un rapimento" può contare su valori formali elevati, in particolare una cupa fotografia in bianco e nero che rispecchia con impressionante mimetismo tutte le sfumature del dramma e che, in una sequenza altamente simbolica, arriva a colorare di rosa il fumo delle ciminiere, preannunciando un'invenzione simile molti anni dopo in "Schindler's list". Nel cast Toshiro Mifune dona forte risalto ad un personaggio che all'inizio appare antipatico, ma la cui umanità viene poi gradualmente fuori; tuttavia Mifune appare soprattutto nella prima parte del film, lasciando poi il ruolo di protagonista all'ispettore Tokura interpretato dall'infallibile Tatsuya Nakadai, altro attore feticcio di Kurosawa, ma decisamente inquietante e sconvolgente anche la presenza di Tsutomu Yamazaki nella parte del rapitore.
Il titolo originale "Tra cielo e inferno" rispecchia meglio di quello italiano l'ambiguità di una vicenda che pone interrogativi etici di particolare gravità senza fornire facili soluzioni allo spettatore; all'epoca fu un grosso successo anche commerciale in Giappone, ma sottovalutato da una parte della critica occidentale per le sue componenti stilistiche americaneggianti, che influenzeranno, tuttavia, un gran numero di film del genere nei decenni successivi, con un remake di Spike Lee in arrivo fra pochi mesi. Ad ogni modo, una prova registica eccellente per Kurosawa, una pellicola solida, rigorosa, uno dei pochi film che scenda davvero in profondità nei meccanismi procedurali della polizia, un grido di allarme di forte attualità, realizzato in un momento di ripresa economica del Paese, assolutamente da riscoprire.
Voto 9/10
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