Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
"Trainspotting" al confronto sembra "Happy days"
I figli dei ragazzi di vita pasoliniani sono diventati dei drogati. Non si fanno per vivere, vivono per farsi senza la roba non possono stare e per essa sono disposti a fare tutto. Il microcrimine è quello che il tossico povero frequenta a differenza del tossico ricco, i vizi si pagano con altri vizi, piccoli furti e prostituzione diventano abituali nella realtà quotidiana dei nostri antieroi. Il prezzo della nostra felicità lo stabilisce chi vende , chi compra deve solo procurarsi le piotte per svoltare o accettare di vendere il proprio corpo sempre più bucato e devastato. La teoria della riduzione farmacologica del danno non funziona se il metadone viene aggiunto alla dose quotidiana e se ogni tentativo di smettere viene sempre rimandato. La differenza tra droga pesante e leggera sta nel prezzo più che negli effetti, l’esigenza di trovare la roba diventa ogni volta un problema economico. Lo sguardo del regista non lascia spazio a fughe lisergiche dalla realtà o a ricerche borghesi del piacere, c’è la durezza della vita di strada. La concretezza del bucarsi, di quello che ci scorre nelle vene, sangue e non, diventa insostenibile non ci da scampo, ci entra dentro. La crudezza del film non da respiro, l’unico momento astratto è nella casa dell’artista, quando dopo la pera collettiva ognuno schizza il sangue rimasto nella siringa sulla tela, l’arte si fa con la vita, il quadro con la materia umana, la creazione con la soddisfazione dei nostri sensi. La droga diventa la ricerca di una condizione normale che ci faccia star bene che ci riempie il corpo e la mente con l’obiettivo di arrivare vicino al limite senza superarlo. Il finale tragicamente romantico non può che lasciare spazio all’amore tossico ma pieno di purezza di un legame che la fine eccessiva e malata non può spezzare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta