Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
Una crasi tra l'ironia romanesca e il dramma della droga, all'ombra di Pasolini e delle periferie romane e ostiensi.
Chi come me ha vissuto negli anni ottanta è cresciuto nel bombardamento mediatico post ’85 sui pericoli della droga. Campagne scolastiche, iniziative, slogan che ci hanno messo in guardia sul “fenomeno” droga, eroina soprattutto. Nella stessa misura giusto ed esagerato. La visione, fino agli anni novanta, di siringhe buttate per strada, dietro panchine di piazze semideserte, in aiuole sporche, vicino a muri scrostati di abitazioni abbandonate era paragonabile al diavolo di matrice cattolica. I tossici erano dei mostri e la pratica del buco, chissà per quale distorta associazione, abbinata all’insopportabile musica heavy metal. Poi, però, vennero le scoperte di Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e relative brevi vite. Quando scoprì che jazzisti come Charlie Parker o Chet Baker, fino a Miles Davis e Massimo Urbani o il disegnatore Andrea Pazienza si bucavano rimasi - al contempo - sconvolto e attratto dalle loro vicende. Droga uguale morte ok, ma non sempre era così. Reprimere, nascondere è sempre la peggior cosa. La morte di Ringo De Palma, ex batterista dei Litfiba, dopo la registrazione dell’ultimo lavoro dei CCCP fu uno shock e un’ingiustizia. Droga di Stato per annientare una generazione, si è detto.
Claudio Caligari nel 1983 era arrivato prima di tutti, certo, senza i sensazionalismi e la “pornografia” di “Christiane F. – Noi i ragazzi dello zoo di Berlino” (peraltro ben riusciti). Aggiornò i ragazzi di vita di Pasolini, bruciati dall’eroina, a rota per una dose. Con il sociologo Guido Blumir, il regista sdoganò i drogati che vivevano in funzione di quell’atto, di quel gesto “teatrale”. Lo fece con l’arma dell’ironia e con l’autenticità di attori non professionisti, realmente tossicodipendenti o ex. Con le vicende di Cesare, Michela, Enzo, Loredana e Cioper la commedia si fonde con il dramma. Per farsi uno “schizzo” gli antieroi umanissimi di Caligari devono compiere furtarelli, prostituirsi, rinunciare a qualche gelato. Un neorealismo accecante e assolutamente vero. A tratti, potrebbe rivelarsi apologetico ma è genuina generosità, realismo inquietante, battute, trans e quadri astratti di sangue. Dopo tanto correre, sbattersi e rifarsi ancora ci si commuove per Michela e Cesare. Due vittime, due ragazzi, due vite spezzate, assurdamente.
A Caligari cineasta si può rimproverare un po’ di compiacimento, una certa simpatia per i suoi protagonisti, ce li rende solo più autentici, in un mondo indifferente e crudele. Non si piangono addosso, ridono e soffrono come noi, vincono o perdono le loro battaglie quotidiane come noi le nostre. Ecco la vera forza di AMORE TOSSICO, la normalità della droga e dei suoi riti. Al sole ostile di Ostia e Centocelle, all’ombra del monumento abbandonato del nume PPP si consuma un abbandono, quello delle istituzioni (assenti) per i giovani.
Esordio clamoroso, diretto con mano ferma e decisa, anche le musiche stonate di Detto Mariano diventano vera poesia.
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