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Amore tossico

Regia di Claudio Caligari vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Amore tossico

di FABIO1971
8 stelle

"Era giudicato un film che non sarebbe stato terminato perchè si pensava che noi, da pazzi totali, avessimo scritturato dei tossicodipendenti [...]. I ragazzi che hanno fatto il film seguivano l'operazione da un anno, forse di più, dalla prima pagina all'ultima versione della sceneggiatura e, quindi, condividevano l'operazione "politica" di quel film [...]. Girando un film sull'eroina sorse subito un problema immediato: come mettere, cioè, in scena il momento in cui il tossicodipendente si inietta in vena l'eroina, se in campo lunghissimo oppure con piani più ravvicinati. Scegliendo, poi, questa seconda ipotesi perchè con la prima ci sentivamo troppo ipocriti, sorgeva, però, anche il problema, a quel punto, di decidere che cosa dovevano iniettarsi, dato che non si potevano iniettare l'eroina [...]: non poteva circolare droga sul set, loro, anche se erano drogati in quel periodo e si facevano d'eroina, non dovevano farsi mentre venivano ripresi in inquadrature che sarebbero state utilizzate nel film. Di questo è stato difficile convincerli, soprattutto è stato difficile convincerli a farsi delle iniezioni in vena di sostanze neutre o addirittura disintossicanti: per esempio, quando c'è l'iniezione che deve mimare il "brown sugar", e quindi è marroncina, il medico che seguiva il film suggerì una sostanza medicinale, di cui ora non ricordo più il nome, che in realtà era un epatoprotettore, un disintossicante".
[Claudio Caligari, sulla lavorazione del film]

Ostia, il pontile: una comunità di tossicodipendenti inizia la propria giornata. Enzo (Enzo Di Benedetto) e Ciopper (Roberto Stani) stanno aspettando l'arrivo di Cesare (Cesare Ferretti):
"Cesare?".
"Che cazzo ne so, sarà ito dalla madre a vede' de svorta' quarche cosa. Tu che hai fatto, hai lavorato?".
"Macchè, una sfortuna terribile. Stavo pe' fa' un orologio e una catena dentro 'na borsetta a du' farlocche: m'hanno sgamato, 'ste stronze, me so' dovuto da'... Aoh, se stanno a fa' tutti paraculi, nun se sa più che inventasse".
"A chi lo dici... Ma, in finale, tu quanto c'hai?".
"C'ho i du' scudi de prima. Anzi, pure meno, me so' preso un gelato".
"Ma come, dovemo svorta' e te piji er gelato?".
"Sì, me prendo un gelato, embè? A Enzo...".
"A Cio', nun te capisco, se sbattemo pe' mette insieme quattro lire pe' fasse 'no schizzo e tu te piji er gelato?".
"Se me va, me lo pijo, sì... Ma me credevo de svorta', no?".
"Vabbè, vabbè... In finale, quanto c'hai?".
"Ottomila lire".
"Ma perchè, il gelato da duemila lire te lo piji?".
"Eh sì... da duemila...".
"A 'sto punto nemmeno mezza piotta c'avemo. Quaranta co' le mie, co' le tue so 48, mo' vedemo quello che porta Cesare. Oggi me sa proprio che col "quasi" se famo...".
I loro compagni d'eroina si chiamano Michela (Michela Mioni), Loredana (Loredana Ferrara), Massimo (Massimo Maggini), il degrado quotidiano della loro esistenza li ha trasformati in relitti putrefatti di un'umanità tossica e senza scampo, la ricerca della droga (la "svolta" alla giornata) è l'unica priorità, spinti a procurarsela con qualsiasi mezzo, dal furto alla prostituzione. Da Ostia si spostano all'estrema periferia di Roma per rimediare il metadone, rapinano un alimentari a Centocelle, "svoltata" la giornata si fermano a dormire a casa di Massimo. Cesare e Michela, compagni da una vita, hanno intenzione di smettere, ne iniziano a parlare:
"Che c'hai, Ce'? A che pensi?".
"Penso all'artr'anno... Stavo qua, de 'sti tempi, era il periodo che tu eri ricoverata. Me facevo... se facevamo, io e Massimo, un par de grammi al giorno. Annavamo tutti i giorni a ruba' e quel giorno avevamo fatto 'na bella chiusura. C'avevo... mamma mia come stavo quel periodo... c'avevo... ero proprio rovinato, tutto sventrato. Quel giorno avevamo fatto 'na chiusura, avevamo preso 'na cifra, avevamo preso proprio belli soldi... Comunque, stavamo a dormi', me so' arzato, me so' svejato la notte, stavo a rota persa e che fai? Vado da Mario, no? So' andato da Mario: tutte storie, scene, "a quest'ora?"...come ha visto i soldi: "Beh, vabbè, forse se può fa'..." e m'ha dato la robba. Ho caricato la siringa a 'na fontanella, me so' preparato la robba, passava un tassì, ho chiamato er tassì, je ho fatto "portame a Ostia", je ho messo in mano un pezzo, una piotta, e ho fatto: "Aoh, portame a Ostia, portame a Ostia!". Come ha visto i soldi, via! È partito come 'na scheggia. Io me so' trovato co' 'sta spada così e dico: "Mo' che faccio, me faccio dentro ar tassì?". Ho preso e ho cominciato, ho comiciato a famme: mancava metà robba e me s'è appannato tutto... pum! Non ho capito più un cazzo! Me so' ripreso e ho visto... ho visto 'ste du' facce da cazzo grasse co' la barella che correvano verso la macchina: m'aveva portato al Sant'Eugenio! Come ho visto 'sti due, me so' guardato er braccio e ho visto che c'avevo ancora la spada infilata. Ho visto che il sangue nun s'era coagulato e... fum! Ho mandato giù tutto il resto e ho preso 'st'artra pezza. Mentre questi arrivavano io so' sceso dall'altra parte della porta e je so' sparito proprio. E li ho lasciati senza il loro cadavere di drogato. Lo sai che ho fatto, poi? So' annato alla ferrovia e me so' sdraiato co' la testa sui binari a aspetta' er treno. Poi, però, me ne so' annato...".
Lasciano gli altri a Roma e tornano da soli ad Ostia, vanno al mare, si drogano:
"Ma quand'è che smettemo de bucasse? So' dieci anni, pure de più...".
"A Miche', me pari mi' madre".
"Nun c'è più niente da scopri', io c'ho voglia de cose nuove. È un po' che ce penso. Stamo tutto er giorno a sbattese, a rovinasse la vita e se perdemo tutto il resto. Vivemo a du' metri dar mare e 'st'anno è la prima vorta che ce venimo...".
"A Miche', ma 'ste cose te vengono in mente sempre dopo che te sei fatta: il mare, il sole, 'na bella pera... mettece pure du' violini...".
"Figurate, a me 'sta robba che gira me rimbarza, è scrausa".
"Se è pe' questo, pure a me nun me pija più, mejo er metadone. Te ricordi la robba de quattr'anni fa? Ce fosse quella, sarebbe 'n'artra storia. Non so' che darei pe' famme 'na pera de quella robba... Potremmo pure prova' a smette".
"Sì...".
"Ce potremmo prova', no? Sarebbe il tentativo numero 10... 15...".
"Ce provamo?".
"Sì!".
"Ma che da subito?".
"Scalamo co' la robba".
L'ultima pera, per l'occasione di cocaina, ai piedi del monumento in memoria di Pier Paolo Pasolini, farà precipitare la loro vita nella tragedia. Scritto da Caligari con la consulenza scientifica del sociologo Guido Blumir (già collaboratore di Alberto Grifi per le produzioni Rai Michele alla ricerca della felicità e Dinni e la Normalina, ovvero la videopolizia psichiatrica contro i sedicenti gruppi di follia militante) e di una vera comunità di tossicodipendenti (quasi tutti ex) della "periferia sottoproletaria romana, post-pasoliniana", premiato al Festival di Venezia come miglior opera prima (con l'accorata difesa del film da parte di Marco Ferreri durante una memorabile conferenza stampa al Lido), Amore tossico è un'opera coraggiosa e di raggelante ed assoluta controtendenza all'interno del panorama cinematografico italiano di inizio anni Ottanta: tra finzione e ricerca documentaristica, il film di Caligari evita accuratamente, ad eccezione della melodrammatica sequenza finale, i vizi della retorica e le esasperazioni drammaturgiche, immergendo le esistenze e la quotidianità di questo microcosmo agghiacciante e disperato fino a lasciarne emergere, elementi distintivi dell'analisi operata dagli autori, il dolore lancinante, l'intima desolazione e la totale perdita di dignità delle carcasse umane che lo popolano. Fondamentali le scelte stilistiche operate da Caligari, dall'impiego di attori non professionisti all'uso del dialetto (in una triplice stratificazione linguistica: dall'universo del sottoproletariato delle borgate a quello dei tossicodipendenti e della malavita), fino alla straniante colonna sonora di Detto Mariano e alla livida fotografia di Dario Di Palma, che evoca con incisiva suggestione visiva gli squallori e le miserie intime e ambientali di un dramma sociale che proprio in quel periodo usciva allo scoperto nei dibattiti dell'opinione pubblica (conseguenza della diffusione dell'eroina in Italia a partire dalla seconda metà degli anni Settanta) in tutta la sua sconvolgente e tragica attualità.

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