Regia di Joseph L. Mankiewicz vedi scheda film
Il padre banchiere arricchito in fretta, i figli ambiziosi e invidiosi, la madre trascurata dai figli dopo la morte del padre. Meglio restarsene in Italia, più poveri ma felici, piuttosto che cercare la fortuna in America.
È una pellicola abbastanza ambiziosa, perché mette molta carne al fuoco, anche se è sostenuta dal mestiere dei suoi realizzatori,: i legami di famiglia che possono esplodere, l'ambizione che rovina gli affetti familiari, l'ambigua paternità del personaggio di Edward G, Robinson, il dramma della povertà, il ruolo delle banche nella società e nell'economia, il capitalismo, la fallibilità del sogno americano.... e forse dell'altro.
Mankiewicz è uno che inserisce nei suoi film sempre almeno qualche situazione crudele, o dura, o violenta. E qui non si smentisce: si pensi al violento pestaggio del personaggio di Conte, e alla violenza dei sentimenti di vendetta e invidia che serpeggiano tra i fratelli. Quanto al padre, è un uomo diviso in modo confuso tra egoismo di banchiere e uomo che sa aiutare con un prestito se qualcuno ha veramente bisogno. Ma coi figli si dimostra tirato fino all'umiliazione di questi.
La vicenda della famiglia di immigrati italiani è comunque sovrastata da un dubbio tutt'altro che gratuito della madre, che sembra essere la più saggia di tutti: finché erano in Italia erano poveri ma si volevano bene; dopo l'emigrazione e l'ascesa sociale compiuta in America, tuttavia, la divisione e la rivalità, come pure l'avidità, hanno devastato l'unità familiare.
Quasi superfluo lodare l'interpretazione di E. G. Robinson e di Richard Conte.
È un film sicuramente ben diretto e interpretato, anche se non sempre piacevole, che ricorda certe tragedie familiari di Shakespeare, o film come il successivo “Rocco e i suoi fratelli”.
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