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The King Tide

Regia di Christian Sparkes vedi scheda film

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La recensione su The King Tide

di leporello
7 stelle

    Su di una sperduta, dimenticata isola (probabilmente dell’arcipelago delle Hawaii), la cui comunità residente si è volutamente isolata dal resto del mondo in ogni modo e forma rifiutando ogni tipo di collegamento, ma piuttosto autoesaltandosi sprezzantemente della totale estraneità con quelli della “mainland” (la terraferma) ai quali, tra l’altro, attribuiscono la colpa di depauperare il mare di quel pesce che per loro rappresenta la principale forma di sostentamento con i “loro” metodi di pesca a strascico, il sindaco del villaggio Bobby (Clayne Crawford) e sua moglie Grace (Lara Jean Chorostecki) si ritrovano a patire l’improvvisa perdita prematura del bimbo che lei portava in grembo.


   Subito dopo, al termine di una grande marea, dalla riva sottostante Bobby ed il suo sodale Beau (Aden Young) già medico del villaggio, ora dedito prevalentemente a smaltire le sue frequenti sbornie, sentono arrivare uno strano suono, simile ad un vagito. Accertandosene, nello spazio d’aria di un relitto sconosciuto rovesciato su se stesso, ecco spuntare, come mandata dal cielo, una bimba di pochi giorni. Bobby e sua moglie certo lo interpretano come un risarcimento divino per la loro perdita, e con il consenso della comunità accolgono la nuova arrivata come propria figlia.


   Isla (tale è il suo nome, Alix West Lefler è il nome della bambina che la interpreta subito trasportata dalla narrazione all’età di dieci anni – PS= molto graziosa ed espressiva la ragazzina, chissà se è destinata a diventare una grande attrice…) presto confermerà la natura divina della sua comparsa su quella roccia in mezzo all’oceano dimenticata da tutti, manifestando ed applicando i suoi poteri taumaturgici a beneficio di tutta la collettività. Con la sola volontà, Isla è in grado di guarire ogni sorta di male, fisico o psichico, è in grado di provocare pesche miracolose, finanche di provocare la morte (ma questo non le piace, e non vuole che si sappia in giro) di uno sciame di calabroni che stava insidiando il suo amichetto Junior, figlio Beau, forse anche di resuscitare dalla morte. Finisce quindi per assumere il ruolo di scudo invincibile per tutto il villaggio, tanto che qualcuno (i suoi piccoli compagni di scuola) si diverte magari a procurarsi volontariamente un avvelenamento con delle bacche selvatiche per poi correre a casa di Isla per essere guarito. Ma proprio in una di queste occasioni, quando gli eventi vorranno che nel medesimo istante due situazioni avessero contemporaneamente bisogno di lei, non potendo essere lei in due posti diversi, il luttuoso degenerare di una della due circostanze avvia per Isla, e dietro lei tutta la comunità, una fase di stanchezza e di riflessione. Isla pare perdere i suoi poteri, e il villaggio non sa ora come comportarsi con lei, né come difendersi dalle difficoltà della vita dalle quali Isla fino al quel momento, con un solo schioccar di dita, li aveva preservati. In particolare la crisi colpisce i due genitori, specie il padre che è sempre stato combattuto tra il dover lasciare libera di agire “la magica” Isla per il bene degli altri e la necessità di difenderla dall’avidità di chi intende servirsene per rendersi la vita più facile.

 

   La narrazione prosegue poi con toni piuttosto tragici, il regista si avvale di effetti visionari (non troppi, per la verità, e ben calibrati) che viaggiano a metà tra l’inferno e la redenzione, perduta sì, ma non si sa ancora se per sempre. Nel frattempo qualcuno dell’isola comincia a sentire la necessità di abbandonare quel luogo e il nulla esasperato che lo circonda, e infrangendo un tabù che è quasi come un ordine ancestrale e sovrannaturale insieme, si allontana di nascosto.
Questo produrrà necessariamente che quella “Main Land” così aborrita fino a quel momento, farà inevitabilmente la sua comparsa sulla scena.


Volendo evitare di spoilerare troppo, voglio solo aggiungere (e concludere) che il finale del film è davvero molto indovinato, tanto quanto spiazzante e sorprendente per quelle che erano state le aspettative ben generate da sceneggiatura e regia insieme.

Sottolineo di nuovo la prova della giovanissima protagonista, quello di tutto il cast (in primis quello di una straordinaria Frances Fisher, contemporaneamente nel ruolo della madre di Grace e in quello di una sorta di “sacerdotessa” la cui autorevolezza è riconosciuta da chiunque), e mi permetto di cercare di dare un po’ di lustro a un film che molti potrebbero vedere come un “simil-horror/mezzo thriller/quasi fantasy” di bassa lega, ma che invece nasconde nelle pieghe delle varie caratterizzazioni, unitamente ad un plot certamente non troppo originale e già frequentato, ma impreziosito dal già accennato sorprendente finale e da un’atmosfera generale che lascia respirare lo spettatore pur sapendogli costruire intorno una cappa di asfissiante mistero (anche la bella location aiuta, così aperta, prossima al Cielo, immobile eppure come le onde mai in sosta) un'opera piuttosto intelligente e con una personalità propria. Io lo consiglio.

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