Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Terzo film che vedo, di Mizoguchi - dopo "La vita di O-haru, donna galante" (1952) e "Racconti della luna pallida d'agosto" (1953) - e terzo capolavoro assoluto del cinema. Questa storia di Chikamatsu ("Chikamatsu Monogatari" è, appunto, il titolo originale) è un attacco all'assurdità delle leggi medievali che, ancora nel XVII secolo, regolavano in Giappone i rapporti tra le persone, tanto da imporre la crocifissione per gli amanti adulteri. Ma è anche un richiamo alla necessità di esprimere l'amore fuori dagli schemi imposti dalla società, un invito ai vecchi a capire le aspirazioni dei giovani e a non imporre loro le regole più stantìe. Questi temi il grande Mizoguchi li sa fondere in un impasto filmico intensissimo, che sa coniugare l'estetica seicentesca del teatro kabuki con le esigenze spettacolari moderne, permettendo al maestro nipponico di proporre un racconto fluido e commovente come una tragicommedia di Shakespeare, messa in scena con tanta ironia e poca magniloquenza. Vi sono sequenze difficili da dimenticare, come quella della casta dichiarazione d'amore - raramente s'è visto un amore più puro di questo, forse nemmeno quello di Dante per Beatrice può batterlo - in barca, quando la signora, colpita dalle parole dell'artista, decide di non voler più morire, o quelle, strazianti, in cui il padre di Mohei l'implora di non farsi arrestare davanti a lui. Intorno ai due personaggi principali, veri eroi da romanzo classico, si aggira la solita umanità gretta, avara, arrivista, infida e delatrice che offre lo spunto per qualsiasi tragedia, antica e moderna. (6 luglio 2007)
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