Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
Sicilia, 1865. Il contadino Gramigna è vessato dal barone Nardò; decide di vendicarsi con la giusta crudeltà e la bella Gemma si schiera con lui. Nel frattempo però sopraggiungono le truppe piemontesi, desiderose di mettere ordine nella situazione.
Alla base di tutto c'è una novella di Giovanni Verga, ma c'è anche - indiscutibilmente - Pietro Germi. La Sicilia western disegnata da Lizzani in questo film è senz'altro debitrice delle pellicole del regista genovese, non solo del drammatico In nome della legge (1949), ma anche delle commedie Divorzio all'italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1964), da cui Lizzani mutua la protagonista femminile Stefania Sandrelli. Oltre, si capisce, a quel clima teso e febbricitante che combina silenzio e isteria nei film di Germi. L'arma in più in questo caso è Gian Maria Volontè, inappuntabile anche con la parlata sicula, ma in fin dei conti nulla può sorprendere di un attore semplicemente mostruoso come lui; altri interpreti sono Ivo Garrani, Luigi Pistilli e una lunga serie di nomi bulgari sconosciuti quantomeno nel Belpaese, frutto della coproduzione targata Roma e Sofia. I difetti dell'opera vanno indicati nello svolgimento poco brioso della trama e nella blanda portata odierna della morale del testo di partenza, sostanzialmente una parabola cupa su potere e (in)giustizia. Il regista è anche autore, con Ugo Pirro, della sceneggiatura; questo titolo, nella sua densa filmografia, si incastra fra il capolavoro Banditi a Milano (1968) e l'altro 'dramma isolano' Barbagia, la società del malessere (1969). 5/10.
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