Regia di Tommaso Santambrogio vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 80 - GIORNATE DEGLI AUTORI - FILM DI APERTURA
A Santo Antonio de Los Banos, un paesino sperduto nell'entroterra cubano, il tempo pare immobile, sia climaticamente come in tutto il resto dell'isola ai tropici, che a livello di progresso socio-economico o tecnologico. In questo contesto, tra i muri scrostati dei palazzi in rovina tre storie di vita si incrociano rappresentando il convivere del passato, presente e futuro in un contesto che pare fuori da ogni attualità.
Due coniugi teatranti di nome Edith e Alex vivono della creatività che li completa e definisce, e dell'affetto che la vita di coppia regala loro in modo istintivo e naturale.
La anziana vedova Milagros vende dolci per strada e trascorre in solitudine ore a rileggere le lettere del fidanzato mai tornato dalla guerra che lo vedeva schierato in Africa in difesa di uno stato alleato di Fidel Castro.
Infine due ragazzini, Alain e Frank sognano di unirsi al sempre più folto numero di migranti verso Messico e Usa per potersi distinguere nel continente come giocatori di baseball professionisti, diventando entrambi ricchi e famosi.
"Los oceanos son los verdaderos continentes" è il lungometraggio d'esordio, maturo ed interessante, del regista italiano Tommaso Santambrogio, profondo conoscitore della vita cubana e già collaboratore tecnico di gran cineasti come Herzog e Lav Diaz.
Quello di Santambrogio è un film riflessivo e sottile che racconta i ritmi di una vita che scorre apparentemente ordinaria, senza sbalzi narrativi eclatanti proprio come accade nella vita reale, che scorre quotidianamente nel suo incedere a volte ripetitivo, a volte quasi banale.
Al centro del tenue racconto, troviamo appunto le esistenze quotidiane di tre diverse generazioni, di cui seguiamo aspirazioni, sogni, ricordi, entro una Cuba di provincia affascinante, resa luminosa e preziosa da una fotografia in bianco e nero meravigliosa e potente che pare davvero uno scorcio della natura ugualmente incontaminata delle Filippine di Lav Diaz.
Il luogo ove si svolge la vicenda, bloccato dal tempo entro una staticità che pare perenne, è una sorta di quarto personaggio fondamentale ad una narrazione appena imbastita, ma dal carattere potente, mentre col bianco e nero l'autore, su sua stessa ammissione, ha voluto evitare di legare l'immagine isolana ai soliti colori sgargianti di una Cuba sin troppo inflazionata e banalizzata nella sua più smodata esteriorità.
Per questo nel film il regista rinuncia anche alle solite auto d'epoca, a mojito e altri cliché sin troppo abusati e da cartolina, per focalizzarsi sul reale.
Con un risultato finale notevole, magnetico e di tutto rispetto.
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