Regia di Liliana Cavani vedi scheda film
Quando vidi questo film della Cavani, le aspettative erano piuttosto alte. Infatti, avevo letto la recensione di un celebre critico, sostenitore della regista, che scriveva così: "I tre protagonisti hanno una grande statura, colta nel brillante e nel degradato con potente icasticità, vivisezionati da un occhio insieme pietoso e riflessivo. Il loro cercarsi, perdersi e invocarsi nel labirinto dei sensi e nel sottosuolo dell'anima, e l'abbondanza di echi offerti dalle figure di fianco si traducono in una dialettica di forme che ha ritmi sontuosi e chiaroscuri in cui il realismo simbolico si intreccia a un raffinato visionario. La presa sullo spettatore non si allenta mai, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo in questa laboriosa fabbrica di immagini". Purtroppo, con tutto il rispetto per Grazzini, che resta uno dei più importanti critici cinematografici italiani, il film a me è sembrato un pasticcio in cui a difettare è soprattutto la verosimiglianza e la credibilità dei personaggi, ridotti a figurine posticce senza spessore, una sorta di mentecatti che si agitano continuamente senza che se ne comprendano le vere ragioni. L'impressione è che la regista sia stata fin troppo disinvolta con la storia reale, abbia voluto proiettare nei personaggi più che altro le proprie ossessioni, e abbia esagerato con provocazioni che già allora risultavano di maniera. Dunque, un film che risulta soprattutto "falso" (e che spinge lo spettatore a consultare qualche seria biografia di Nietzsche o di Lou Salomé), in cui anche la raffinata vena visionaria apprezzata da Grazzini crolla nel ridicolo, come nella sequenza del balletto ambientata a Venezia, e in cui troppe sequenze sono inutili o di cattivo gusto, come la visita al bordello o lo stupro ai danni di Paul Ree. Gli interpreti si impegnano, ma alle prese con un simile materiale non riescono a compiere il miracolo di trasfigurarlo; la migliore mi sembra personalmente Dominique Sanda.
VOTO 5/10
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