Regia di Karan Tejpal vedi scheda film
Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
"Stolen", diretto dal regista Karan Tejpal, è un film proveniente dall'India. Tuttavia chi ha introiettato un tipo di cinema fatto di musiche orecchiabili, costumi suntuosi, coreografie sfavillanti e storie d'amore melense faticherà a crederci. "Stolen" è decisamente lontano dall'estetica di Bollywood ma questo lo si poteva intuire, ancor prima di vederlo, per la presenza del film nella selezione ufficiale della Mostra.
Per quel che so Venezia non ha mai dimostrato particolare attenzione nei confronti degli "Harmony" del cinema indiano. Quanto meno non l'ha fatto negli ultimi dieci anni, periodo in cui l'ho frequentata. E quando l'ha fatto ha comunque ospitato pellicole ("Monsoon Wedding") che riuscissero a coniugare il "cinema d'arte", come lo chiamano loro, e quello "commerciale", famoso in tutto il mondo.
Per la verità "Stolen" non aderisce completamente neppure al neorealismo, lo stile che più di tutti ha influenzato i registi impegnati. Anche in India i cineasti sperimentano le soluzioni più consone alle loro idea di cinema. Il film di Tejpal non è, ovviamente, da meno.
"Stolen" inizia con afflato neorealista ma è questione di poco prima che l'autore cambi rotta mescolando i generi cinematografici. Tra le polverose strade dell'India la sensibilità civile di "Stolen" si mescola ai generi più occidentali. Thriller e cinema d'azione spingono sull'acceleratore ma l'obiettivo del regista rimane quello di sensibilizzare il pubblico attraverso scelte stilistiche decisamente più "pop". Il susseguirsi di inseguimenti ed il ricorso ad una violenza fisica che lascia il segno sui protagonisti, e su chi guarda, non inficia la riflessione su un fenomeno molto frequente. In India scompare un bambino ogni dieci minuti tra molte negligenze e poca attenzione da parte della polizia.
In una stazione ferroviaria viene sottratta, durante la notte, la figlia di una donna che riposa tra i clochard. Il fotografo Raman Bansal, testimone dell'accaduto, viene accusato del rapimento ma ben presto lui ed il fratello, che l'ha raggiunto sul posto, scoprono di essersi imbarcati in un dramma ben più esteso la cui protagonista è la povera madre. I due fratelli, volenti o nolenti, accompagnano la donna disperata in un viaggio disseminato di indizi. Quel che trovano, però, con maggior frequenza, è la diffidenza della gente dei villaggi e la pusillanime riluttanza della polizia a svolgere qualsiasi indagine. Lasciata la città, e quel minimo di sicurezza che le appartiene, i due fratelli, dapprima in disaccordo sul fatto di aiutare la donna a ritrovare la figlia, si avventurano con la loro auto in luoghi poveri e desolati in cui la loro condizione privilegiata si fa pericolosamente notare.
Raman e Gautam sviluppano un legame nei confronti della donna che finisce per rinsaldare i rapporti fraterni ostacolati da modi apparentemente diversi di vedere le cose.
Questo racconto offre a Karan Tejpal tantissime opportunità di riflessione. Le difficoltà di superare la divisione per caste, tipica della società indù, è senza dubbio il primo spunto su cui ragionare. Gautam Bansal è riluttante all'idea di aiutare la povera Jhumpa, una donna "intoccabile" trovata a dormire sui cartoni in prossimità dei binari. Il fratello fotografo, un giramondo che ha una mentalità più aperta e una maggior sensibilità verso le ingiustizie sociali, a contrario, non esita a mettersi contro il fratello per prestarle soccorso. Benché le caste non esistano più dal 1947 sopravvive, di fatto, la suddivisione tra povero e ricco che impone ai primi di non mescolarsi con i secondi. Raman osa mettere in discussione un atavico principio sociale e religioso ed, alla fine, coinvolge il fratello nella ricerca dell'infante. Il secondo punto all'ordine del giorno, che in parte si ricollega al primo, è l'inconsistenza della giustizia. Jhumpa viene ritenuta colpevole perché povera. Le sue giustificazioni non vengono prese in considerazione. Chiunque appartenga alle forze dell'ordine respinge le sue parole e solo la caparbietà di Raman permette di iniziare una ricerca della giustizia che le autorità non avrebbero nemmeno previsto senza l'intervento di uomini appartenenti ad una casta più elevata della loro. Quando, del resto, si ricollega la purezza alla casta i cosiddetti "intoccabili", impuri per eccellenza, non possono che essere colpevoli a priori. La giustizia in India sembra più un dovere da espletare nei confronti dei ricchi piuttosto che una precisa e dovuta scelta morale. La mancanza di giustizia porta all'esasperazione delle caste più basse e verso questo punto (il terzo) confluisce l'analisi di "Stolen". Gli abitanti dei villaggi decidono di farsi giustizia da soli. Perciò, sviati dall'uso dei social media, e credendo di riconoscere nella donna e nei due uomini gli autori del rapimento, decidono di applicare la propria giustizia al caso. Raman, Gautam e Jhumpa si tramutano in capri da immolare sull'altare della vendetta. L'ultimo punto dell'analisi del regista mette in luce l'uso inappropriato dei social network e dei telefonini che usati in malafede diventano arma anziché mezzo di informazione.
Tejpal dedica a tutti questi argomenti pari opportunità di sviluppo nonostante il tempo dell'azione sia molto importante soprattutto nella seconda e frenetica parte in cui le riprese ravvicinate, il montaggio serrato ed il suono stridulo e sgradevole lasciano sbigottiti.
"Stolen" parte lentamente ma una volta impressa alla velocità di crociera il ritmo asfissiante della caccia all'uomo il pubblico rimane in balia di turbamenti e rassegnata indignazione. Forse Tejpal si fa prendere un po' la mano da una rete troppo fitta di inseguitori che ricordano l'abbondanza di zombie nei film di genere, forse le botte prese avrebbero steso i due uomini ben prima dello scoccare dei novanta minuti, e forse il sonoro tende a prevaricare nelle sequenze d'azione, tuttavia gli elementi distintivi di questo film sono interessanti e portano ad una conclusione aperta in cui si elogia lo spirito fraterno e la volontà di recare aiuto a chi è in condizione di svantaggio.
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