Regia di Gábor Reisz vedi scheda film
Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Com’è possibile che da una “democrazia illiberale”, come lo stesso Orban ha ribattezzato l’Ungheria, possa uscire un film come “Explanation for everything”, politicamente maturo e capace di valicare i confini per farsi emblema dell'Occidente intero?” Un film che, per inciso, nel nostro frivolo e democratico paese, nessuno penserebbe di produrre nonostante la propensione a sbandierare un’assoluta superiorità sul campo del pluralismo politico. Questa è la domanda che onestamente mi sono posto dopo la visione del film presentato da Gábor Reisz nella sezione Orizzonti e che ora esce in Italia dopo l’apparizione alla Mostra del Cinema e la distribuzione, lo scorso ottobre, in Ungheria dove, evidentemente, il film è stato considerato sufficientemente innocuo da non richiedere particolari attenzioni dal Governo che, a contrario di quello polacco nel caso “Green Border”, non ha sbraitato contro l’autore a pieni polmoni per boicottarne il lavoro.
Il film di Gábor Reisz, dicevo, è ben girato e dimostra l’accortezza di un autore che a poco più di 40 anni ha filmato in maniera sobria e intelligente le spaccature politiche del paese partendo da un pretesto narrativo abbastanza comune. Abel, un giovane studente figlio della borghesia conservatrice, viene bocciato all’esame di maturità a causa di un penoso test di storia. Prima dell’esame viene, tuttavia, redarguito dal professore liberale Jakab, per essersi presentato con una coccarda patriottica impiantata sul bavero della giacca, contravvenendo alla regola che impedisce di esporre a scuola loghi e slogan politici. La spilla, infatti, pur avendo origini lontane nel diciannovesimo secolo, è l’emblema del partito di maggioranza, che si è appropriato di un simbolo nazionale per farne il proprio vessillo politico. Abel, che deve affrontare l'infamia della bocciatura e la reazione della famiglia racconta al padre György quanto accaduto mettendo in moto una tempesta mediatica ben peggiore del fallimento scolastico. Abel finisce nell’occhio del ciclone, il professore di storia è vittima di un processo sommario, in cui è imputato di sentimenti antinazionali, e nessuno si cura veramente, genitori compresi, della reale preparazione dell’alunno. La scuola, per pararsi il didietro offre la possibilità al maturando di ripetere l’esame davanti ad una schiera di giornalisti che sembrano avvoltoi in attesa della propria carogna. Tra quest’ultimi la giovane rampante Erika il cui articolo ha ingigantito la menzogna, rendendola verità, e le ha aperto le porte ad una carriera di alto profilo ma piena di incognite e contraddizioni.
Nulla che non si sia visto nel nostro paese dove la scuola è spesso sotto i riflettori delle forze politiche che a seconda della posizione occupata tentano di screditarla o appoggiarla. La mia stessa compagna fece parte di una commissione che dovette ripetere l’esame di maturità perché un padre incredulo come György impugnò il risultato in tribunale. Non vi erano questioni politiche di mezzo ma il risultato negativo si ripeté davanti ad un avvocato di famiglia in imbarazzo per aver incassato il più facile degli assegni dai facoltosi genitori. Loro se ne tornarono a casa rossi di vergogna dopo aver assistito ad una seconda interrogazione avvolta nel più assoluto silenzio. C’è da dire che qualche volta finiscono sulle pagine dei giornali italiani anche questioni ideologiche legate alla nostra povera scuola. Che io sappia, però, nessuno ha girato un film legato, inequivocabilmente, all’attualità politica del paese come ha fatto Gábor Reisz che ha affrontato di petto le divisioni politiche, l'istituzione scolastica ed il giornalismo di bassa lega facendo nomi e cognomi. Se nel nostro paese qualcuno avesse l’ardire di affrontare la materia temo che la sceneggiatura verrebbe rimaneggiata tante di quelle volte da perdere qualsiasi intento documentaristico e qualsivoglia ardore idealistico. Probabilmente un’attenta analisi della società si trasformerebbe in un’infantile commediola sulla dabbenaggine della borghesia e dei figli di papà che in essa vi crescono. È anche vero che la duratura posizione ai vertici del partito nazionalista di Orban ha reso più facile la lavorazione del film da parte di Reisz. In Italia, una volta scritta la sceneggiatura e messa in moto la produzione, si rischierebbe di parlar male di un governo che all'uscita del film non esisterebbe già più. E ciò renderebbe obsoleta nonché vana l'intera produzione.
Gábor Reisz costruisce, dunque, il proprio film sul confronto accesso tra il padre ed il professore trasformando il salotto di casa nell’aula del parlamento dove si consuma, in una sorta di bagarre di mezze verità ed insulti, uno scontro tra ale estreme del pubblico pensiero False notizie e speciosi mormorii alimentano i contrasti rendendo vani i tentativi di riconciliazione e collaborazione.
Il regista concede alle parti la possibilità di esprimere i propri punti di vista ma il quadro che ne esce è comunque disarmante. Persone e istituzioni sono costrette ad un’eccessiva cautela nell’espressione di un pensiero che non sia maggioritario. Chi può va all’estero, chi non ha il coraggio di Jakab mantiene il più basso dei profili per non perdere privilegi e sicurezze. Al di là delle ideologie espresse dalla maggioranza dell’ultra destra ciò che preoccupa il regista è la facilità con cui si propaga la menzogna e si approfitti di essa per il proprio tornaconto.
“Una spiegazione per tutto” è un film davvero interessante che esce dai piccoli confini ungheresi per parlare dell’Europa. Si chiude con una corsa liberatoria sulla spiaggia per affermare la vanità degli adulti che nascondono la loro chiusura arroccandosi su ideologie attraenti ed impattanti quanto vane, ma allo stesso tempo ritrae una gioventù che si lascia scivolare tutto dalle spalle e non sembra anelare la crescita della società essendo troppo preoccupata a soddisfare il proprio edonismo in un orizzonte ideologico e temporale tanto limitato che si estingue nella conquista di una piccola porzione di lago.
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