Regia di Lkhagvadulam Purev-Ochir vedi scheda film
L’occhio di uno scettico sembrerebbe l’occhio più sollecitato nella prima sequenza di City of Wind: un santone pronuncia le parole di un antenato che avrebbe preso possesso del suo corpo ad alcuni clienti paganti. Le banconote lasciate su un tavolino sembrerebbero la nota ammiccante di una scena quieta, in cui il campo largo negherebbe un tono spirituale e immersivo ma incoraggerebbe lo sguardo dubbioso: è tutta una messa in scena per ingannare dei poveretti. Poi però il santone si toglia la maschera ed è un ragazzino, e si passa all’interno di una classe di scuola con ragazzini che guardano porno al cellulare e con una professoressa severa e offensiva. E il film sboccia nel piccolo teen drama che è davvero: a quel punto sta allo spettatore mettere insieme i pezzi.
È una storia d’amore fra due liceali che vivono a Ulan Bator. La regista, che esordisce al lungometraggio, tiene molto a far sapere che Ulan Bator è protagonista tanto quanto i due ragazzi: la città è una perenne contraddizione, i palazzoni moderni del centro e le case cadenti e sparse delle montagne tutte attorno. È una contraddizione che i due ragazzini vivono direttamente sulla loro pelle: lui crede di essere in contatto con gli spiriti ma cita Terminator e va nei centri commerciali per rilassarsi e staccare dal mondo; lei è moderna e scettica nei confronti della tradizione ma si innamora di lui e dichiara di voler vivere in campagna. E il film dissemina di indizi falsi su come tutto potrebbe proseguire, trovando la chiave di volta che unisce lo yin e lo yang: in particolare nei momenti finali, tre o quattro scene subliminalmente oniriche alludono a un carattere estetico che forse teme troppo e si rifugia nella sobrietà ma avrebbe voglia di spiccare il volo. Sebbene l’insistenza sulle vedute della città a volte stroppi e certi inserzioni sulla tradizione folklorica del luogo siano date per scontate, il film non tradisce un’eccessiva faciloneria per le degustazioni dei palati occidentali e festivalieri, ma anzi discute con problematicità - senza urlare - quanto la globalizzazione si integri in realtà locali che difficilmente stanno nei nostri occhi e nelle nostre menti; senza azzardare conclusioni moraliste, ma appassionandosi sinceramente a dei giovani esseri umani.
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