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Invelle

Regia di Simone Massi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Invelle

di yume
7 stelle

Invelle, da nessuna parte, in nessun luogo.

locandina

Invelle (2023): locandina

Nel 2018 Simone Massi ((Pergola, 1970) collaborò egregiamente con il team di 18 animatori del distretto marchigiano dell’animazione, Scuola del Libro di Urbino, alla realizzazione de La strada dei Samouni, film di Stefano Savona proiettato in anteprima mondiale al Festival di Cannes e premiato con il prestigioso Oeil d’Or.

David di Donatello e due Nastri d'Argento, 250 premi e diffusione in 62 Paesi, nonchè le sigle musicali dalla 69° alla 73a Mostra del Cinema di Venezia, che nel 2012 lo ha onorato con una proiezione speciale di tutte le sue opere, hanno  fatto conoscere l’indubbio valore di Simone Massi al mondo intero.

Nel film di Savona alle sequenze reali si intrecciavano quelle in animazione, e pur nella grande efficacia documentaristica e artistica quel film passò abbastanza inosservato.

A sei anni di distanza oggi lo chiameremmo profetico, di quel modo che solo l’arte possiede di preconizzare un futuro inimmaginabile per il pensiero comune.

Parlava infatti del folle raid israeliano, chiamato “Piombo fuso”, che in due giorni, nel 2009, ridusse in macerie la strada del titolo e la vita di 29 Samouni, e le scene mancanti erano sostituite dall’animazione di Simone Massi.

Fu una felice fusione di linguaggi, due ore fra immagini reali a cui siamo tristemente abituati, quartieri di ordinaria miseria alla periferia di Gaza, abitazioni povere, uomini che un tempo lavoravano a Tel Aviv e poi avevano perso il lavoro perché c’è un muro, ci sono posti di blocco, ci sono odi inestricabili, scene riprese dal vivo, dentro le case che i fondi dell’ONU per la ricostruzione sono bastati a malapena a rimettere in piedi e fuori per le strade dove i bambini giocano fra le macerie, le donne svolazzano nei loro veli, gli uomini fumano silenziosi e le immagini animate dai “graffi” di Simone Massi, quel tratto inconfondibile, fluido e magnetico, che riempie lo schermo di oscuri presagi, quando ali di morte cominciarono, in quella fine del 2008, a svolazzare nel cielo di un quartiere tranquillo e grandi uccelli neri si trasformarono in aerei dal rombo spaventoso, con elefanti al galoppo, l’armata di Abraha, un’immagine del Corano, che nulla lasciarono sulla loro strada, fino al sicomoro, che una lunga proboscide sradicò quasi con piacere sadico.

locandina

La strada dei Samouni (2018): locandina

Tutto questo per arrivare a oggi, alla visione di Invelle, primo lungometraggio di Simone Massi.

Questa volta protagonisti siamo noi, italiani, la nostra storia, quella del ‘900, il secolo delle grandi contraddizioni che scorrono veloci come un motore impazzito, un mondo contadino che muore di fame e frana nell’opulenza triste delle colonne autostradali in corsa verso il mare, gli ideali della Resistenza, le marce per i diritti alla vita, alla felicità, alla bellezza, diventati carta straccia fatta di inciuci e camarille, insomma siamo noi, con la nostra genetica incapacità di misurarci con un’idea, uno sguardo, una prospettiva che non sia appiattita, cupa e claustrofobica.

 Il graffio scuro e tremolante di Simone Massi è il nostro background, spariti per sempre i cieli azzurri e tersi del Veronese, gli ori e gli argenti di Simone Martini, l'immensa forza muscolare di Michelangelo, siamo ridotti in briciole scure scalpitanti come vermi, storie impazzite di miseri occupanti una terra che stiamo distruggendo.

Ci sono tanti personaggi, nella storia raccontata da Massi, contadini, bambini, su cui si è abbattuta la cosiddetta Grande Guerra, poi la Seconda, i nazisti, fra l’una e l’altra le grandi menzogne dei dittatori di mestiere.

Finito tutto, bombe e spari sono continuati, ma stavolta era guerra civile.

E il mare? Il nonno non l’ha mai visto ma il bambino lo troverà, l’hanno chiamato Icaro apposta!

Ma che mare? 

Non c’è una luce in fondo al tunnel nella matita di Massi, e non può esserci, se non a prezzo di un falso.

scena

Invelle (2023): scena

C’è però un “ma”, che spiega il perché del ricordo iniziale de La strada dei Samouni.

Un lungometraggio interamente sviluppato con quel tratto tremolante è un vero attentato alla vista, anche la migliore. Un ibrido, invece, o una clip, o un corto, sono la cifra perfetta per quel linguaggio segnico, ne esalta la dura bellezza senza affaticare lo sguardo.

C’è un altro “ma”: la sintesi di storia del ‘900 non è sempre efficace, si sente fatta da un artista che ha una mano eccezionale al servizio di una mente altrettanto singolare, visionaria, ma la sceneggiatura di un film, come la struttura di un romanzo,  l’impianto di un manufatto architettonico,  una drammaturgia teatrale, ha bisogno di una mano forte, capace di trasmettere il pensiero dell’Autore con equilibrio e armonia.

In Invelle non è sempre così, e benchè ci siano momenti di indubbia bellezza, soprattutto dove sono protagonisti i bambini, le parti risultano a volte slegate, le sonorità vocali e strumentali a tratti fastidiose.

Poco male, Invelle resta un’esperienza interessante su come raccontare la nostra storia, e anche se qualcuno pensa il contrario, forse sarebbe da far vedere ai bambini, il loro occhio è molto più capace del nostro, così stanco ormai, di coglierne significato e bellezza.

Invelle è l’ultima parola pronunciata da Icaro, risposta alla domanda “Dove sei andato? Dove sei stato tutto questo tempo?”. Nell’antico dialetto marchigiano significava “Da nessuna parte, in nessun luogo”.

Cosa vuol dire Icaro? In una terra di nessuno, una misera terra senza identità? O la mia esistenza è una molecola di un Universo senza confini? O ci sono altre spiegazioni?

A ciascuno la sua.

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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