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Invelle

Regia di Simone Massi vedi scheda film

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La recensione su Invelle

di Genga009
8 stelle

"A Zelinda" Simone Massi

Che Simone Massi sia uno dei registi e autori di animazione più importanti in Europa è un fatto riconosciuto a livello internazionale almeno dal 2006, ovvero dalla pubblicazione del suo celebre corto La memoria dei cani. Il cinema di Massi ha sempre trovato la propria dimensione espressiva nella manualità delle illustrazioni e degli animatic, negli incisori con cui sporca i fogli nei quali mette a punto i propri pensieri e nell'estrema cura dei volti dei personaggi ai quali l'autore decide di dare vita. Animando movimenti e stati d'animo, il regista prosegue dalla metà degli anni '90 una linea editoriale assai personale, costellata di opere su commissione e di altre più intime, volte a scavare e ad analizzare il passato dell'artista e degli ambienti sia umani, sia territoriali con i quali ha intrecciato la propria crescita. Importanti, dunque, divengono i luoghi, gli aspetti più significativi della quotidianità, i traumi legati alla morte e quelli legati al ricordo. Il racconto nelle sue opere, a volte non lineare e guidato dal "pensiero analogico", giunge frammentato e asettico, noncurante della sua comprensibilità universale.

Tale integrità avvicina il regista alla scuola di cinema sovietico più meditativo, creata nei decenni da artisti del calibro di Aleksandr Dovzenko, Andrej Tarkovsky e sicuramente Yuri Norstejn, oltre che affiancare a livello intellettuale Massi a maestri nostrani come Federico Fellini e, in maniera ancora più ravvicinata, Ermanno Olmi. Sono proprio film come L'albero degli Zoccoli (1978) e il più recente - e ultimo lungometraggio del regista bergamasco - Torneranno i prati (2014) a stabilire un ponte autoriale tra i due artisti, entrambi narratori della vita in campagna, della cultura contadina, degli orrori perpetuati durante i due conflitti mondiali e dei conseguenti disordini sociali che hanno definito e forgiato l'Italia nel corso della seconda metà del Novecento.

Sebbene i due registi appartengano a contesti regionali e a generazioni differenti - Olmi è nato a Bergamo nel 1931, mentre Massi è nato a Pergola nel 1970 - il forte richiamo al linguaggio dialettale, il costante rimando al sacrificio e l'estremo rispetto del silenzio in scena, del minutaggio dilatato a favore di immersive scenografie statiche o riprese in movimento, rappresentano i tre perni concettuali che costituiscono l'insieme delle due filmografie, anche e soprattutto perché create a partire da stili cinematografici diversi e complementari: da una parte l'aderenza quanto più veritiera alla realtà, dall'altra l'immaginifica riproduzione su carta di pensieri e vicende altrettanto schiette e, talvolta, brutali.

Uno dei primi corti che palesa l'intenzione espressiva e cinematografica di Massi è Tengo la posizione (2001), opera dal forte rimando a Tarkovsky che decanta visivamente alcuni passi de La casa In collina (1948) di Cesare Pavese reinterpretati dall'artista marchigiano. Nel cortometraggio, oltre che apparire in senso stretto una narrazione analogica, è presente anche uno dei migliori zoom-in in passo-uno creati dal regista, tecnica che Massi riproporrà spesso nel corso della propria carriera.

 

scena

La strada dei Samouni (2018): scena

 

Tra il 2006 e il 2011, il regista infatti affina la propria manualità e produce sia la sua opera più famosa e impattante per la critica cinematografica, La memoria dei cani, sia il suo capolavoro stilistico, Dell'ammazzare il maiale. Questi corti inseriscono Massi tra le personalità artistiche più importanti dell'animazione europea contemporanea, tra i quali figurano colleghi francofoni come Jean-Francois Laguionie, Michael Dudok De Wit e Sylvain Chomet e autori più giovani o coetanei come gli irlandesi Tomm Moore e Nora Twomey. In particolare, Dell'ammazzare Il maiale supera per complessità figurativa e per intensità espressiva la precedente filmografia del regista, attraverso la cupezza dei volti rappresentati, il tappeto sonoro ambient d'accompagnamento composto da Stefano Sasso, la regia dinamica e la assoluta potenza di carboncino e di inchiostro esposta da Massi, quasi eguagliando in efficacia e in chiarezza le strutture post-surrealiste di Roland Topor e le riproduzioni eteree di Frédéric Back.

 

Durante gli anni Duemiladieci, il regista espande una già prolifica produzione di cadenza praticamente annuale partecipando al documentario in tecnica mista La strada dei Samouni (2018) di Stefano Savona, film - vincitore dell'Oeil d'Or a Cannes - che racconta alternando riprese in diretta e animazione il massacro condotto nel 2009 dall'élite dell'esercito israeliano ai danni di una delle comunità contadine radicate da generazioni presso la Striscia di Gaza. In seguito a questa pietra miliare dell'arte "di frontiera", Massi crea nel 2022 due cortometraggi, A guerra finita e In quanto a noi, opere brevi che riconducono la poetica del regista verso le proprie fondamenta concettuali: la cruda mattanza della guerra e l'aspra e umile vita di campagna. Il primo lavoro funge da video promozionale di Emergency, mentre il secondo vede come voce narrante Wim Wenders. Ormai conosciuto in tutto il mondo come uno dei principali portavoce della draw animation in passo-uno, l'anno seguente arriva per Simone Massi la prova del nove della propria carriera. Nel 2023, infatti, esce in anteprima a Venezia, Invelle, primo e per ora unico lungometraggio del regista.

 

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Invelle (2023): scena

 

"Il tempo si guasta: quest'inverno, lo dicono tutti, nessuno avrà voglia di combattere, sarà già dura essere al mondo e aspettarsi di morire in primavera. Se poi, come dicono, verrà molta neve, verrà anche quella dell'anno passato e tapperà porte e finestre, ci sarà da sperare che non disgeli mai più. Viene l'inverno e io ho paura, che in questa nuda campagna un tronco secco, un nodo d'erba, una schiena di roccia, mi paiano corpi distesi.

Intanto io sto qui, tengo la posizione."

 

Il titolo significa "in nessun posto" in dialetto pergolese, linguaggio, che il regista conosce bene poiché nativo della provincia di Pesaro-Urbino, approfondito nel libro da lui scritto e supervisionato Abbecedario del dialetto pergolese e dell'alta Valcesano (2020). Il film è diviso in tre sezioni temporali che ripercorrono la storia di una famiglia contadina: gli anni della Prima guerra mondiale, il periodo di occupazione nazista e i cosiddetti "anni di piombo" tra il 1969 e il 1982. Come in un moderno, seppur sempre di manifattura artigianale, Racconto dei Racconti (1979), Massi narra di luoghi senza nome, di uomini e di donne il cui eco da romanzo verista si intreccia con l'autobiografia, andando dunque a definire un'opera che non ha nulla dell'epopea storica, bensì rifrange nella trama una intima condivisione di memorie, alcune nitide, altre annebbiate e parzialmente perse nel tempo. L'intreccio da generazione a generazione, precisamente da nonna a nipote, tinge la prosa scritta da Massi di vicissitudini e di sentimenti uniti alla terra, al lavoro nei campi, al badare alle bestie, alla necessità di dover diventare braccia in tenera età, senza quindi avere la possibilità di ricevere una scolarizzazione o una gratificazione all'infuori della vita in famiglia o nella campagna circostante.

 

La vita dei contadini è relegata e povera, sofferente in tempo di guerra e perseguitata da chi segue il progresso. Nella visione di Massi, inoltre, non traspare alcuna dignità nell'umiltà. Si vive per morire e si lavora per allontanare la fame. Tuttavia, mentre le prime due sezioni del lungometraggio risultano più descrittive che simboliche, più attente alle azioni che alle illusioni, la terza si rivela come catartica e risolvente di questo dramma. Seguendo in modo scrupoloso gli avvenimenti chiave che hanno segnato l'Italia negli anni '70, dagli attentati di matrice politica e ideologica al rapimento di Aldo Moro, la storia si focalizza sul giovane Icaro, ultimo esponente della famiglia protagonista che deve venire a patti con una realtà tra le più spiacevoli: in campagna non si può più stare.

 

scena

Invelle (2023): scena

 

Bisogna andarsene, vendere gli animali, abbandonare la casa, campare come si può e abituarsi al paese, o alla città, agli appartamenti stipati nei complessi popolari. Bisogna dimenticarsi le sconfinate foreste e abituarsi al proprio giardino, o al proprio balcone, e imparare a trasformarsi da cicala a formica, da terra a cemento. Il sentimento finale è di totale sconforto. Se nella visione adulta il cambiamento viene percepito sia come uno spaventoso salto nel buio, sia come l'opportunità di poter migliorare le condizioni di vita del nucleo familiare, in quella dell'infanzia e della senilità non vi è benedizione nella resa, nell'eradicare chi, come nonna Zelinda, aveva già provato il gusto amaro di dover rinunciare alla propria patria. Per questo il "nessun posto" appare come unica meta possibile, frontiera di nostalgia e di speranze, di sete e di paure, di riscatto e di possibilità.

 

Il nome Icaro, che nonna Zelinda aveva portato nel cuore dalla sua Sicilia attraverso due conflitti mondiali, sarà forse destinato a compiere imprese ben lontane da quelle che si addicono ai contadini, proprio come è stato per Simone Massi, meticoloso artista che la campagna, per quanto l'abbia sempre ritratta fredda e distante, la ama e pensa profondamente. Al netto di ciò, la storia di Invelle di certo non rinnova bensì amplifica idee e significati già presenti nelle opere del regista, tuttavia, la tecnica con la quale viene realizzato il film migliora sensibilmente i modelli di riferimento delle animazioni, qui supportati da strutture vettoriali in 3D al fine di rendere i movimenti dei personaggi in scena più dinamici mentre le scenografie di Massi contemporaneamente mutano forme e visuali prospettiche. Inoltre, come nelle sezioni animate presenti ne La strada dei Samouni, la definizione dei corpi e dei volti, ovviamente se e quando al centro di una data sequenza, si presenta perfezionata, riuscendo quindi a scolpire nei frame sguardi pungenti e numerosi match cut di soggetto e di movimento. Cambi repentini di volti e di punti di vista spaziali costituiscono dunque un lungometraggio d'autore di enorme personalità artistica e peso culturale, con un cast di doppiaggio d'eccezione, tra cui figurano attori come Luigi Lo Cascio, Toni Servillo e Neri Marcorè, che riesce a trascinare nei "non posti" di Massi atmosfere rurali inquiete in cui il regista riversa sapientemente ogni sua testimonianza e tradizione.

 

Articolo presente su www.daelaranimation.com | Isaia Silvano alias Genga009

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