Regia di Simone Massi vedi scheda film
Un sogno lungo un secolo, o quasi: tre generazioni contadine che si contorcono e si trasformano davanti ai nostri occhi nell’ultimo film di Simone Massi, il primo lungometraggio, Invelle - che vuol dire “da nessuna parte”. È l’ultima parola pronunciata dal piccolo Icaro alla fine del film, su un nero in cui riverbera il turbinio di suoni e di schizzi dell’ora e venti precedente. Dalla piccola Zelinda che affronta la morte della madre per febbre spagnola; alla piccola figlia di Zelinda, Assunta, che guarda sospetta e disorientata il mondo della Seconda Guerra Mondiale - stranita tanto dai tedeschi quanto dai partigiani -; fino al piccolo Icaro, figlio di Assunta, che sente da lontano l’eco del rapimento di Aldo Moro, e da più vicino quella dell’aggressività inconsulta del padre.
Tutta una teoria su cos’è il filtro del mondo contadino rispetto ai principali eventi storici del Novecento: cosa passa(va), cosa non passa(va), in che modo la Storia con la S maiuscola diventa(va) la storia dei singoli e degli oggetti in angoli di mondo che sembrano lontani. Un mondo contadino imprendibile, difficile da mitologizzare, fatto di piccoli traumi e frequenti fratture che irrompono nella psiche di un bambino o di una bambina. E che forse sia propriamente un “bambino” anche il mondo contadino in sé?, a cui tutto arriva sempre ‘dopo’, e che pure accoglie delle coscienze pronte, ricettive, che se non stanno assistendo in diretta a una protesta che avviene a Roma possono comunque assistere all’uccisione di un maiale, o a una rissa per strada. Il mondo contadino affronta la Storia come un bambino, e questo determina, in Invelle, che tutto arrivi puro e allo stesso tempo deformato (rispetto a cosa noi sappiamo della Storia), e che la Storia sia un inestricabile sistema di segni incomprensibili che forse non portano da nessuna parte.
Lo stesso film di Massi ruota ma non viaggia mai davvero: gli oggetti e le persone su cui Massi impernia le sue metamorfosi figurative e i suoi ‘teletrasporti’ sono le sedi possibilissime di viaggi impossibili, ma sempre ‘fermi’ nel mondo contadino. Le stanze e gli interni delle case possono assumere fattezze impossibili, e i campi possono diventare lande sterminate; gli stessi corpi delle persone potrebbero spiccare il volo battendo la gravità. Ma sono sempre quegli oggetti lì, e niente oltre quelli: anche Icaro, pur in questo film che è uno tsunami di creatività, il mare potrà solo immaginarselo - e noi con lui, col rumore, senza vederlo. I flash del mondo ‘fuori’ da questa costante indeterminatezza del mondo contadino si chiudono rapidamente, si nascondono (Moro che si corica coprendosi con un sudario), si negano allo sguardo. Invelle ci lascia altrove, in questo mondo contadino che non è nessun mondo, più la sembianza di un procedere naturale leopardiano e indifferente piuttosto che una roccaforte di serenità. In cui forse la Storia arriva e lascia segni che sono diversi da quelli che ci raccontiamo nei libri e nelle accademie.
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