Regia di Giorgio Verdelli vedi scheda film
Tra le elegie e i superlativi che provano a descrivere il genio ineffabile di Enzo Jannacci, ce n'è uno che, forse, calza meglio di tutti: "il poeta della dignità". Oltre che attore di cinema e teatro, medico e cabarettista, l'imprendibile cantautore milanese aveva quella capacità, tutta sua, di raccontare gli ultimi restituendo loro non quella rispettabilità pelosa di chi poi se ne fa anche vanto, ma la dignità di personaggi sempre un po' sghembi, messi in canzone in un equilibrio costantemente precario tra umorismo e tragedia. Giovanni telegrafista, l'Armando, quello che faceva il palo nella banda dell'Ortica, quell'altro che portava "i scarp del tennis", Vincenzina, Prete Liprando sono i tanti protagonisti di una fauna che popola le canzoni del maverick per eccellenza della canzone italiana. Giorgio Verdelli - il regista, specialista del genere, di questo bel documentario che arriva a dieci anni dalla morte - non è certo Michael Moore, Vittorio De Seta o Alex Gibney. Ma riesce ad assemblare il materiale consueto per questo genere di operazioni (found footage, testimonianze, inediti) facendolo fruttare al massimo. Tolta l'indegna testimonianza di quel minus habens di Massimo Boldi, che riesce anche a sbagliare i versi di Silvano, ne esce un mosaico ricchissimo, che diverte (tanto) e commuove, arrivando a restituire almeno in parte - attraverso gli aneddoti del figlio Paolo, ma anche di Guccini, Paolo Rossi, Abatantuono, Vecchioni, Dori Ghezzi, Paolo Conte, Cochi Ponzoni, Vasco Rossi e Bisio - la stupefacente irregolarità di un genio indomabile.
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