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Il male non esiste

Regia di Ryûsuke Hamaguchi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il male non esiste

di IlCinefilorosso
8 stelle

Un dramma umano che mescola bellezza e inquietudine.

Il male non esiste inizia con una lunga carrellata in contre-plongee che, come un fiume in una giornata luminosa, attraversa gli spogli alberi invernali, mentre la colonna sonora di Eiko Ishibashi ci sospinge in avanti. Stiamo osservando il mondo dalla prospettiva di Hana (Ryo Nishikawa), una bambina che si avventura nei boschi di un villaggio rurale al di fuori di Tokyo. Uno stacco ci porta al padre, Takumi (Hitoshi Omika), intento a tagliare con precisione dei ceppi di legno. Un altro stacco mostra Takumi riempire delle brocche con acqua di sorgente; un amico arriva per aiutarlo, e lui si rende conto di essere in ritardo per prendere Hana a scuola.

 

I tre momenti iniziali de Il male non esiste sono caratterizzati da una temporalità estremamente dilatata, che avvolge i personaggi all'interno di una ritualità che richiama il ciclo naturale nel suo spontaneo svolgersi. C'è un equilibrio, che viene turbato nel momento in cui da Tokyo giunge una compagnia, la Playmode, intenzionata a rilevare un grosso appezzamento di terra per costruirvi un campeggio di lusso (glamping), suscitando non poche perplessità tra gli abitanti del posto.

 

Che si tratti di movimenti filmici (la carrellata iniziale) o profilmici (la routine di Takumi), il regime cinematografico attraverso cui si muove Hamaguchi si situa al confine tra lo statico (la fissità di certe inquadrature) e il dinamico (le infinite carrellate, i personaggi che semplicemente si muovono all'interno della cornice). Eppure, nonostante la precisione chirurgica del film, non vi è mai la parvenza di un racconto programmatico e scontato; e se c'è, come vedremo più avanti nella recensione, prima o poi viene distrutta. Perché nell'ultimo film del regista giapponese, il vero punto di interesse non è tanto raccontare una storia, quanto immortalare la vita nel suo naturale divenire, mostrarne le ambiguità e le contraddizioni, sfatare il grande mito che contrappone il bene al male. E per farlo, Hamaguchi contamina costantemente le immagini, le inquina, rendendole incerte e scomode, anche nella loro dimensione più contemplativa.

 

Così, i bruschi e imprevedibili stacchi di montaggio, in perfetto stile ejzenstejniano, assumono la funzione di creare contrasti. Come quando si passa improvvisamente dall'inquadratura della foresta a quella della riunione tra i rappresentanti della Playmode e gli abitanti del posto, o da quella di un corso d'acqua che scorre a valle a quella dei grigi e sovrastanti palazzi di Tokyo. Contrasti di linee, ma anche di colori (quelli puri dello spazio boschivo e quelli innaturali degli uffici della Playmode), di movimenti (l'improvvisa camera a mano che spezza la staticità delle inquadrature) e di suoni (i rumori naturali della foresta e il frastuono della città). Forze convergenti che, tuttavia, non sono necessariamente in conflitto, ma rimangono comunque indipendenti.

 

Il male non esiste è un'opera piuttosto particolare all'interno della filmografia di Hamaguchi, inizia come una sorta di parabola ecologica che contrappone la gente del paese agli sviluppatori aziendali e, verso le fasi finali, precipita in un'oscurità perturbante dalla quale ogni cosa esce ridimensionata. Il fulcro del film è rappresentato da una sequenza in cui i rappresentanti dell'azienda incontrano gli abitanti del posto, presentando il progetto e promettendo che il campeggio porterà turisti, stimolando così la loro economia.

 

Ma gli abitanti non sono stupidi e, uno alla volta, iniziano a sollevare questioni, dal rischio di incendi boschivi causati dai barbecue all'inquinamento dell'approvvigionamento idrico della città. La sequenza ha quasi la consistenza di un documentario alla Frederick Wiseman, trasformando la semplice presentazione di una serie di diapositive in un avvincente dramma. Il punto di svolta giunge quando uno dei rappresentanti, Takahashi, sembra cadere sotto l'incantesimo della regione boscosa, fantasticando addirittura di trasverirvisi. 

A quel punto, sembra che il film possa diventare una sorta di "rural escape", un dramma di trasformazione personale. Tuttavia, ciò che è prevedibile si dissolve improvvisamente, lasciando spazio a nuovi sviluppi. I personaggi risultano troppo complessi e riccamente delineati per essere ridotti a semplici archetipi. Eppure, questo non è ancora sufficiente a spiegare quanto Il male non esiste si presenti angosciosamente diverso rispetto alle precedenti opere del regista.

La scrittura è più scarna e possiede un tono inquietante. La colonna sonora, sia lussureggiante che minacciosa, si interrompe spesso bruscamente, creando un effetto disorientante. Lo scenario esterno è ripreso con una bellezza cristallina, ma, più si guarda, più le immagini si tingono di sinistro. A volte, Hamaguchi posiziona la camera a livello del suolo, volgendo lo sguardo verso l'alto, quasi per mostrarci la prospettiva stessa della terra. In questi momenti, i personaggi umani sembrano assumere connotazioni aliene, come se fossero intrusi all'interno di un regno naturale.

 

Il male non esiste, quindi, perché la natura è indifferente e non contiene di per sé né male né bene. La natura non giudica; semplicemente è, si muove spontaneamente, senza alcun riguardo per ciò che la attraversa. La prospettiva adottata da Hamaguchi supera il consueto sguardo antropocentrico, infrangendo la dimensione manicheista che contrappone bene e male, giusto e sbagliato. La realtà, infatti, è diversa, complessa e ambigua, e in essa ciò che accade e le sue conseguenze fanno parte di un processo dialettico, che non ha fine e non ha senso.

 

L'ennesimo capolavoro di un regista che sembra essersi ormai consolidato come la voce più rilevante dell'attuale panorama cinematografico giapponese. 

 

 

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