Regia di Agnieszka Holland vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: GREEN BORDER
Dolore, tantissimo dolore. Questa è la sensazione che si ha quando si esce dal cinema dopo la visione di questo fantastico atto d’accusa firmato dalla settantacinquenne combattente Agnieszka Holland.
Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia e osteggiato dai più alti vertici della politica polacca, Green Border è l’altra faccia della migrazione che si contrappone all’altro potente film sullo stesso fenomeno e anch’esso premiato a Venezia ossia Io, Capitano.
Il contrasto tra il sole e i colori del destro con il tetro bianco e nero della foresta e della laguna che separa la Polonia con la Bielorussia, la voce degli ultimi che tentano il lunghissimo viaggio della speranza contrapposto alla violenza gratuita dei militari polacchi e bielorussi e il cuore degli attivisti che sfidano la politica di Duda per amore dei diritti umani.
Green Border è un film di una potenza visiva incredibile, un film che avrebbe meritato un premio più importante a Venezia e soprattutto avrebbe meritato di rappresentare la Polonia agli Oscar se la “Politica” non avesse scelto diversamente.
Agnieszka Holland parte dura e diretta fin dal primo fotogramma dove una ripresa dall’alto ci fa vedere quel “Confine Verde” che dà il titolo al film. E’ l’unico momento a colori di tutte le due ore e mezzo di film, poi violentemente ci catapulta dentro al film dove noi spettatori siamo quasi costretti in un apnea emotiva questa storia suddivisa in 5 capitoli che delineano i veri obiettivi della regista e il vero oggetto di questa forte denuncia.
Le vicende di una famiglia siriana in fuga dalle violenze dell’Isis verso la Svezia e di Leila una donna Afghanistana che chiede asilo politico alla Polonia per salvarsi dalla politica repressiva dei Talebani sono il cavallo di Troia per denunciare le contraddizioni delle false promesse del dittatore Lukashenko che invita i profughi di passare da Minsk come scorciatoia per entrare in Europa attraverso la Polonia e la politica fortemente repressiva di Duda che paragona questi profughi in fuga come ignobili delinquenti.
Queste persone vengono palleggiate da una parte e un’altra del confine come fossero degli oggetti. E uso il termine “Palleggiare” perché per le Guardie di Confine non esiste una vera e propria differenza tra lanciare dall’altra parte del filo spinato una valigia, un cadavere o una donna incinta.
Agnieszka Holland, nel suo non fare sconti per nessuno, contrappone il dolore di queste povere persone alle crisi di coscienza di Julia una psicologa vedova da poco che rimane sconvolta dal vedere annegare un bambino nella palude e dei diritti umani negati calpestati nei confronti dell’unica sopravvissuta che mette a repentaglio la sua stessa vita per motivi etici oppure la conversione di Jan guardia di confine con moglie a un passo da mettere al mondo il loro primo figlio che nauseato dalla violenza che tocca vedere e perpetrare tutti i giorni si spoglia dei propri abiti per convertirsi ad aiutare una popolazione più etica e vicina come quella ucraina.
Green Border è un autentico pugno nello stomaco nei confronti di chi sta a guardare.
Un dolore che si fa più forte se pensiamo che il film sia uscito a ridosso di un Festival di Sanremo impegnato dove alcune parole di impegno sociale erano associate ai punti del Fantasanremo, in pochissime copie nonostante il premio a Venezia e in una sala semivuota.
Voto 9
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