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Green Border

Regia di Agnieszka Holland vedi scheda film

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La recensione su Green Border

di EightAndHalf
4 stelle

L’immigrazione per Agnieszka Holland è un teatraedro: ha quattro facce – quattro capitoli, come nel film – che rappresentano i tanti possibili schieramenti, come a intendere che un confine non è solo una partita a due, ma almeno a quattro. La famiglia, il primo capitolo, in cui si presentano i protagonisti che dalla Siria o dall’Afghanistan cercano di entrare in Europa; La guardia, il secondo capitolo, del soldato polacco che non ha pietà per i migranti e insieme agli altri militari li fa rimbalzare qui e lì fra Polonia e Bielorussia; Gli attivisti, il terzo capitolo, in cui un gruppo di polacchi cerca di dare sostegno ai migranti nascosti nei boschi rischiando la galera; Julia, il quarto capitolo, in cui la singola attivista prende posizioni diverse da quelle degli altri attivisti, agendo in maniera talvolta coraggiosa talvolta sconsiderata.

Holland non riesce a dire in meno di 2 ore e 30 che il contemporaneo è sostanzialmente inafferrabile, e ha bisogno di un accumulo pietistico e raccattaconsensi che mostra brutture e miserabilismi da raccatto per spiegare quanto sarebbe più opportuno essere empatici con i poveri disgraziati che vengono rimbalzati dentro e fuori l’Europa. Il tutto dentro una patina di inutile bianco e nero che viene aggiunta esplicitamente nella prima sequenza, in cui da un’inquadratura aerea dei boschi del confine l’immagine perde gradualmente colore: un’involontaria dichiarazione di intenti in fatto di generale falsità, filtraggio e manomissione. O quantomeno di compromissione della lucidità dello sguardo, visto che i dati storiografici sono più che precisati e ostentati negli ultimi due capitoli, a fianco delle più sfiancanti frecciate retoriche sulla fratellanza che risolvono il problema dell’immigrazione - dentro una casa di borghesi polacchi che hanno spazio per accogliere tre rifugiati nella loro casa profumata.

Una tonitruante sinfonia di tristezza, morte e distruzione che si dimentica della necessità dell’efficacia formale per il veicolarsi dell’efficacia tematica, o della sensibilizzazione. Sembrerebbe tutto estraibile dalla breve sequenza in cui gli attivisti filmano i migranti per far raccontare loro davanti alla camera le loro esperienze e uno di loro si chiede a che pro si faccia, visto che tutti conoscono questa situazione nel mondo e nessuno fa niente. Perché un film di finta aderenza verista così lungo e inessenziale dovrebbe sortire un risultato diverso?

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