Regia di Daniela Goggi vedi scheda film
Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
I girotondi delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, l’onda lunga della crisi economica, il dissenso "anti-junta", le rivendicazioni della popolazione sempre più complesse da fronteggiare, le pressioni internazionali di chi non poteva più glissare sulle atrocità commesse dalla dittatura ed, ultima ma non ultima, la catastrofica “Guerra de las Malvinas” promossa dal presidente a vita Leopoldo Galtieri per unire la popolazione nello stritolante abbraccio della propaganda patriottico-populista, costrinsero, in fine, il regime, nel nome del neo eletto generale Reynaldo Bignone, a concedere le prime libere elezioni dall’inizio della dittatura. Correva l’anno del Signore 1983 quando gli argentini elessero il radicale Raúl Ricardo Alfonsín. Ma per la giunta militare, che su di sé aveva accentrato i maggiori poteri dello stato spazzando via ogni istituzione democratica, quello fu l’anno del diavolo progressista che stava mettendo fine ai privilegi del potere fin troppo a lungo custodito. Il primo effetto della fine del “Proceso de Reorganización Nacional”, iniziato con il Golpe del 24 marzo 1976 e conclusosi con le elezioni di ottobre, fu il rientro degli esuli argentini scappati dal paese durante gli anni della dittatura.
In questo elettrizzante clima di rinascita democratica si inserisce il nuovo titolo della regista argentina Daniela Goggi. “El rapto” racconta del professor Julio Levy, esule in Spagna a causa dei propri trascorsi politici, di ritorno in Argentina insieme a migliaia di altri connazionali. Il paese che trova al suo rientro è un paese cambiato e desideroso di voltar pagina al più presto. Ma quale paese si nasconde, effettivamente, dietro la maschera della gracile democrazia instauratasi dopo le elezioni? Questa è la domanda di Goggi e grazie agli eventi drammatici che coinvolgono Julio e la sua famiglia borghese la regista di Buenos Aires offre le risposte a tal quesito. Il rapimento del fratello maggiore di Julio, appena riabbracciato dopo gli anni dell’esilio, offre già uno spaccato crudele di un paese privo di una bussola morale. Quando Julio, nella complessa trattazione per liberare il fratello Miguel, entra negli ingranaggi del potere scopre cosa effettivamente si cela dietro le gambe barcollanti della neonata democrazia argentina. Lui e la cognata scoprono la corruzione delle istituzioni ancora presidiate dai membri dell’ancien régime e ne diventano vittime al pari del fratello rapito.
Partendo dalle cronache dell’epoca Daniela Goggi racconta un episodio criminale simile a quelli che animavano le pagine dei quotidiani di allora. Perso l’appoggio della giunta militare, i fedelissimi del regime, ormai privati di posizione e privilegi, si riciclarono senza indugio contando, finché poterono, dell’appoggio di funzionari compiacenti pronti a concedere la protezione dell’esercito, della giustizia, dei servizi segreti. Nella bagarre del passaggio dallo stato di polizia allo stato democratico, e fintantoché non furono allontanati i complici del regime, i criminali della giunta militare agirono indisturbati organizzando sequestri, rapine ed omicidi su commissione, non solo di stampo ideologico.
Daniela Goggi mostra il potere e la sua morale. Il rapimento non è che un lauto banchetto, arricchito nel tempo da periodiche tranche di succulente vivande di cui militari e politici corrotti approfittano avidamente. Mentre i funzionari dello stato e i loro protetti si adoperano per rendere più lungo il convito, il cittadino comune soccombe sotto il peso delle inadempienze della macchina statale. Ne fa le spese la vittima del rapimento e la famiglia taglieggiata. Goggi, tuttavia, mostra anche l’altro volto della medaglia. Una volta allontanati i fedelissimi di Galtieri dall’apparato statale è la burocrazia ad insinuarsi nei vuoti lasciati dall’epurazione. La famiglia Levy, dissanguata dal rapimento, è costretta a fronteggiare l’accusa infamante della bancarotta. Ancora una volta lo stato non è dalla parte del cittadino derubato dalle stesse istituzioni democratiche.
“El rapto” è un dramma asciutto, essenziale, fotografato dagli sbiaditi colori della memoria, interpretato da un ottimo Rodrigo De La Serna, ispirato alle vicende di George Sivak e al successivo racconto del figlio. Mette in luce le immancabili ingiustizie del potere in un periodo ancora fragile e caotico della storia argentina. Racconta di un laido sottobosco di “manodopera disoccupata” che per danaro e ideologia continuò a perpetrare i crimini del regime anche in tempo di democrazia. E come l’impietosa istantanea di un paese senza identità e senza pietà, “El rapto” porta dentro di sé i sentori del fallimento e la triste rassegnazione che una giustizia sociale possa mai esistere. Il salto nel vuoto è l’inevitabile fine di chi si sente intrappolato da un sistema iniquo. Il pessimismo di Goggi è evidente o forse si dovrebbe parlare di semplice realismo? In fondo la realtà, alimentata da decenni di malgoverno, corruzione e cattiva amministrazione è sotto gli occhi di tutti. L’Argentina, sul baratro della più assoluta instabilità, è già pronta a lasciarsi trascinare dal primo “Loco” che inneggia ad un potere forte ed autoritario. Il salto nel vuoto sarebbe allora un nefasto presentimento, un salto nel passato da scongiurare a tutti i costi.
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